mercoledì 27 aprile 2011

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Una storia di successo tutta italiana: Nerio Alessandri, fondatore di Technogym

Grazie a Zeno Tomiolo, che ha fatto da gancio, oggi vi propongo l'intervista a Nerio Alessandri, fondatore e Presidente di Technogym.

1) Salve Nerio, anche se in Italia lei è già conosciuto ed affermato come imprenditore di successo, vuole presentarsi e dirci chi è ?

Sono un designer appassionato di wellness e di innovazione. Nel 1983, a 22 anni, ho fondato Technogym; oggi Technogym è leader mondiale nel settore del wellness ed impiega circa 2000 collaboratori, nelle sue 13 filiali in Europa, Stati Uniti, Asia, Medio Oriente, Australia e Sud America. I nostri prodotti sono presenti in circa 100 paesi e stimiamo che 20 milioni di persone tutti i giorni li utilizzino in 50.000 installazioni presso palestre, hotels, aziende e case private.

2) Potrebbe raccontarci qualcosa in più circa il suo inizio quando, per la prima volta, lei si è affacciato al mondo startup/imprenditoriale?

A 22 anni mi occupavo di industrial designer in un’azienda della mia città a Cesena ma avevo un sogno, quello di diventare imprenditore. Come molti ragazzi amavo lo sport e l’attività fisica. L’intuizione di Technogym nasce dalla combinazione fra la passione per lo sport e le mie competenze di designer. Tutto è iniziato come hobby durante i fine settimana per poi trasformarsi in un impegno a tempo pieno; ma devo dire che ancora oggi lo vivo come un hobby e forse questa è la chiave dell’entusiasmo che riesco a vivere ogni giorno per quello che faccio.

3) Può raccontarci, brevemente, la storia di Technogym? Da startup a colosso mondiale.


All’inizio degli anni 80, nella provincia italiana, la tecnologia in palestra difficilmente andava oltre rudimentali manubri, panche e bilancieri. Frequentando una palestra a Cesena, la mia città, ho intuito che in questo mercato c’era spazio per innovare: il primo attrezzo che ho disegnato e costruito nel mio garage, dotato di una innovativa tecnologia ergonomica e servo assistita ha subito riscosso un grande successo in palestra. Ben presto altre palestre della zona mi hanno contattato e il mio iniziale hobby si è trasformato in un lavoro a tempo pieno. Ho coinvolto dapprima gli amici: un vicino di casa esperto nell’elaborazione delle moto mi ha aiutato sugli aspetti produttivi, mia cugina, giovanissima impiegata mi ha aiutato sugli aspetti amministrativi, un amico reduce da un’esperienza negli Stati Uniti mi ha aiutato sugli aspetti commerciali. L’innovazione ha sempre rappresentato il motore della nostra crescita: negli anni ’80 quando tutti parlavano di body building, noi parlavamo di fitness ed abbiamo aggiunto ai pesi sicurezza, ergonomia e design, negli anni ’90 quando tutti parlavano di fitness, Technogym ha lanciato il wellness, un vero e proprio stile di vita fatto di regolare attività fisica, sana alimentazione ed approccio mentale positivo. Se Fitness significava “look good”, wellness significa “feel good”. Il Wellness ha rappresentato una vera e propria rivoluzione che ci ha permesso di andare oltre la nicchia di sportivi attratti dal fitness ed offrire una opportunità sociale a tutti. Il nostro motto oggi è “star bene conviene”; e conviene a tutti, alle istituzioni per abbassare i costi della salute pubblica, alle aziende per investire in persone più motivate e più creative e ai cittadini per vivere meglio.

4) Quali sono state le maggiori difficoltà che ha incontrato lungo il suo percorso da giovane founder ad imprenditore di successo?

Ritengo che la sfida più difficile per un imprenditore sia costruire la squadra giusta con le persone giuste al posto giusto. Per questo in Technogym da sempre investiamo in cultura aziendale: un sistema di valori condivisi, a tutti i livelli dell’organizzazione, che permetta alle persone di sentirsi parte di un progetto e di crescere nell’ambito del team. Oggi le nostre persone, le loro competenze, la loro creatività e la loro passione rappresentano senza dubbio il patrimonio più importante per Technogym.

5) Quali gli errori più importanti che ha commesso e che potrebbe commettere un giovane startupper?

Nella vita ho commesso parecchi errori perché ho fatto tantissime cose. Penso che lo startupper, come tutti coloro che fanno, siano fisiologicamente soggetti a commettere errori. Chi fa tanto, ha più probabilità di sbagliare, ma anche più probabilità di fare la cosa giusta o trovare l’idea che mancava. Penso che l’importante sia lavorare sui propri errori e considerarli delle opportunità per imparare e ripartire.

6) Crede che rispetto a qualche anno fa, quando ha iniziato, qualcosa sia cambiato in Italia? Chi inizia oggi, è più o meno fortunato rispetto a prima?

Ogni momento storico è caratterizzato da difficoltà ed opportunità. Di sicuro nei primi anni 80 quando ho avviato l’avventura di Technogym il mercato dei beni strumentali offriva un potenziale di sviluppo maggiore rispetto ad oggi. Ma allo stesso tempo, oggi internet e l’economia digitale offrono molte opportunità che all’epoca non esistevano. L’importante è credere nei propri sogni e perseguirli con passione e costanza.

7) Se lei ne avesse il potere, cosa cambierebbe in Italia per agevolare e stimolare i giovani imprenditori?

E’ necessario prima di tutto investire in formazione ed in ricerca per offrire ai nostri giovani le stesse possibilità culturali e di sviluppo personale dei loro coetanei e “concorrenti” che studiano negli altri paesi. Poi ritengo necessario che il sistema bancario sia più vicino al mondo dell’impresa ed al mondo delle idee di modo da agevolare e finanziare i progetti più interessanti e meritevoli che poi diventano patrimonio di tutto il nostro tessuto economico.

8) Quali sono i consigli che si sente di dare ai giovani che oggi decidono di fondare una startup?

Umilità, sapere ascoltare, essere curiosi e saper mettersi in discussione senza crogiolarsi nelle proprie certezze. Approccio positivo: vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto, concentrarsi nella ricerca delle opportunità e non nell’analisi delle difficoltà.


Ringrazio il fondatore di Technogym, Nerio Alessandri, sia per aver risposto alle mie domande..ma, soprattutto, perchè è anche grazie al suo genio imprenditoriale se oggi noi tutti possiamo andare nelle palestre ad allenarci!



Grazie,
Stefano Passatordi
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lunedì 18 aprile 2011

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[OT] Ibrii si evolve, nasce: Searcheeze


Erano mesi che volevo scrivere questo post ☺

Finalmente, dopo mesi di lavoro, di attese, di incertezze, di contrattazioni e di svariati ed innumerevoli imprevisti e problemi, posso ufficialmente annunciare che Ibrii si evolve e diventa Searcheeze! (si legge searchisi)

Andiamo per gradi e ripartiamo da quasi un anno fa, Maggio 2010. A metà maggio del 2010, pubblichiamo la nuova versione di Ibrii che, nonostante i vari bug e alcuni limiti di usabilità, supera i 200.000 utenti unici al mese! Bel risultato direi, considerando che sono provenienti per il 70% dagli USA e che il prodotto è ancora in sviluppo. Poi arriva il viaggio in California, incontri importanti con Angels e bloggers influenti.
Il nuovo Ibrii piace e riceviamo una proposta concreta da alcuni Angels di Menlo Park, ci vogliono incubare nella loro struttura e conoscerci prima di investire. A questo punto sembrava fatta, ma la vita è bastarda..si sa, all’improvviso ci cadono in testa tegole enormi e siamo costretti, per forza di cose, a dover tornare in Italia e affrontare la realtà.

Per vari motivi non posso dirvi che tipo di problemi abbiamo avuto, ma ci hanno paralizzati per 6 mesi! Diciamo solo che spesso, nella vita, le cose accadono e basta.

Sei mesi di stop totale per una startup web equivalgono ad oltre un anno, in questo settore dove tutto viaggia alla velocità della luce. Perso il treno con gli investitori americani, iniziamo a perdere gli utenti, i quali, non vedendo alcun cambiamento e nessun supporto, hanno (giustamente) lasciato il nostro servizio. Scendiamo a 130.000 unici al mese.

Tutto sembrava stesse per finire, ma è proprio in questi momenti che i founder devono dare il meglio e devono restare aggrappati con i denti e con le unghie ai loro sogni e alle loro speranze.

In questi mesi in tanti mi avete chiesto di Ibrii, come mai era fermo lo sviluppo, come mai non si vedevano cambiamenti. Ogni volta per me era una coltellata al cuore, non potevo e non volevo far sapere a nessuno che la nostra creatura era in difficoltà. Forse, adesso, qualcuno capirà perché sono stato schivo e vago quando mi chiedevano di Ibrii. Non per maleducazione o altro, semplicemente mi faceva male dover ammettere a me stesso che proprio sul più bello, quando tutto andava bene, la sorte ha voluto che dovessimo arrestare la nostra corsa. C'est la vie!

A distanza di qualche mese, posso orgogliosamente affermare che Ibrii non è morto, anzi è cresciuto tantissimo, al punto tale da prendere un altro importante finanziamento e di ripartire con una sua evoluzione che si chiama Searcheeze.

Come si dice, non tutti i mali vengono per nuocere. Nei mesi di stop forzato, abbiamo deciso di riflettere a fondo sul nostro percorso per capire se stavamo percorrendo la strada giusta. Ci siamo cosparsi il capo di cenere e abbiamo chiesto ai nostri utenti e agli investitori italiani ed USA, come potevamo migliorare il nostro servizio e quale doveva essere, secondo loro, il nostro focus.

Dopo mesi di studio e analisi dei feedback, abbiamo deciso di sfruttare la tecnologia di Ibrii per qualcosa di più concreto ed importante: la ricerca collaborativa.


Searcheeze: search collaboration made easy!


Per questo abbiamo deciso il cambio del nome. E' un servizio che si basa molto sulla tecnologia di Ibrii, ma nella pratica è un qualcosa di completamente diverso. Inoltre, il nome Ibrii non è mai piaciuto troppo agli americani ☺

Grazie a Searcheeze è possibile collezionare ogni tipo di contenuto web dai risultati delle ricerche. E’ possibile farlo singolarmente o in gruppo, in maniera collaborativa. Ovviamente, l’intero lavoro potrà essere anche pubblicato sul proprio blog o sui vari account social.

Per la prima volta, grazie a Searcheeze, sarà possibile effettuare ricerche di gruppo!

Il tutto mantenendo la semplicità di utilizzo che ha sempre contraddistinto Ibrii.

Searcheeze serve a chiunque abbia l’esigenza di collezionare contenuti dal web per scopi personali e non. Per tutti i gruppi di persone che hanno bisogno di raccogliere insieme delle informazioni dal web, ad esempio: studenti, professori, giornalisti, blogger o semplicemente una famiglia che raccoglie informazioni sul luogo della prossima vacanza o un gruppo di amici che collezionano idee regalo per un amico o un gruppo di amiche che colleziona dal web i prossimi vestiti da comprare per l’estate.

Insomma, alzi la mano chi non ha mai avuto bisogno di collezionare delle informazioni dal web!
Da oggi, grazie a Searcheeze, potrete farlo anche in gruppo!

Searcheeze sarà gratis per tutti, ma per funzionalità avanzate e per il mondo business sarà a pagamento.

Per adesso, mi fermo qui.

In un prossimo post ulteriori dettagli circa il nuovo team di Searcheeze e le altre novità!

Vi lascio con una riflessione: se avessi mollato nei momenti difficili, adesso non sarei qui a scrivervi. Non lasciate che niente e nessuna possa portarvi via i sogni.


Registratevi qui: searcheeze.com
Seguiteci su: Twitter e Facebook. (i profili sono ancora scarni, scusate ma stiamo lavorando come matti!)


A presto,

Stefano Passatordi
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giovedì 14 aprile 2011

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Scegliere un investitore

La maggior parte delle startup non ha i fondi necessari per portare a termine il proprio percorso fino ad una exit. Per questo motivo, fin dai primi mesi, i founder si mettono alla ricerca di capitali.

Spesso provengono da famiglia o amici, meno spesso da Angels e piccoli fondi, raramente da grossi investitori.
In genere, famiglia ed amici prestano solo del denaro, sperando che un giorno potranno riaverlo, magari con qualche piacevole sorpresa.

Angels e VCs, invece, oltre ai soldi, possono mettere sulla bilancia anche tanto altro: esperienza, contatti e consigli.

Premesso che, secondo me, non esiste l’investitore ideale, vediamo quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere un Angel/VC per apportare il massimo valore all’interno di una startup.

L’investitore ideale:

- investe in voi e nella vostra startup!
- è o è stato un imprenditore di successo
- è un esperto del vostro settore
- è pieno di contatti e referenze utilissime per voi e per la vostra startup
- investe tramite convertible note con condizioni ragionevoli
- fa passare al massimo 1 mese dal primo incontro al bonifico
- è voglioso di trasmettervi la sua esperienza e la sua energia
- è sempre presente quando ne avete bisogno
- non è invadente perchè ha capito che il micro management è una pratica da lasciare al CEO
- capisce i vostri difetti ed i vostri pregi e cerca sempre di trarre il meglio da voi
- vi supporta sempre e comunque
- vi introduce potenziali investitori e partner
- è un pò come un faro nei momenti bui e difficili
- diventa un vostro amico
- riesce a farvi capire dove state sbagliando e a rimettervi sul giusto binario
- critica in maniera costruttiva
- continua a finanziarvi finchè ci sono i presupposti per andare avanti

In breve, immagino l’investitore ideale come: "Un amico, un consigliere, che si fida di me e mi aiuta a realizzare un sogno. Sempre rispettoso e sempre presente, senza mai essere invadente."

Per tanti motivi, è difficile, forse impossibile, incontrare l’investitore ideale.

E’ possibile, però, scegliere quello che più si avvicina al caso ideale, in base alle proprie esigenze da startup.

Non valutare mai un investitore solo per la quantità di denaro che investe!


Bisogna sempre valutare anche la sua esperienza, i suoi contatti e il rapporto personale che si instaura. Meglio un investitore che vi da 100 ma vi riempie di giusti consigli e vi apre tutte le porte, piuttosto che uno che investe 1000 e poi è inutile.

Ad esempio, conosco dPixel dal 2009 e con loro ho chiuso 2 finanziamenti. Non sono stati l’investitore perfetto, come noi non siamo stati la startup perfetta, ma hanno sempre fatto del loro meglio per aiutarmi in tutto e per tutto. Abbiamo creato un rapporto di rispetto e di fiducia che, nel tempo, ha portato e sta portando i suoi frutti.

Quando, nel 2009, io ed il mio socio, abbiamo dovuto affrontare la scelta se firmare o meno con dPixel, non abbiamo solo valutato il fattore economico. Abbiamo studiato chi fossero i fondatori, cercando di scroprire le loro esperienze e quanto fossero importanti ed influenti.

Insomma, non è sempre e solo una questione di denaro, il valore aggiunto che deve portare un investitore si deve misurare anche in esperienza, contatti e consigli.

Buona scelta a tutti!

Stefano Passatordi
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domenica 20 marzo 2011

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La mission e la vision: due punti di riferimento da non perdere

Più volte abbiamo detto che alla base di una startup troviamo due importanti fattori: team ed idea.

Sono ovviamente strettamente collegati tra loro e spesso non si capisce se è l’idea che guida il team oppure il contrario.

Premesso che tra i due, secondo me, il team è più importante dell’idea, è pur vero che esiste una relazione a doppio senso tra i due.

Dal mio punto di vista, possiamo vedere un doppio collegamento che si concretizza nei concetti di: mission e vision.

Ricordo che due delle prime domande che ci fecero quando andammo a parlare da dPixel furono proprio la nostra mission e la nostra vision.

In poche parole:

Mission: racconta lo scopo per cui nasce la startup, il suo fine ultimo. In genere deve spiegare chi siete, cosa volete fare e perchè.
Il più delle volte la mission è una frase, ad esempio, la nostra primissima missione era: “Ibrii’s mission is to promote the discovering and sharing of contents over the web and to make them accessible to everyone, everywhere.”

Ad esempio, quella di Walt Disney è: “To make people happy” mentre quella di McDonald’s è: “To leverage the unique talents, strengths and assets of our diversity in order to be the World's best quick service restaurant experience."

Vision: racconta dove arriverà la startup nel futuro prossimo. Quindi riguarda il futuro e serve a far capire dove si vuole arrivare nel tempo, quanto grandi ed importanti si vuole diventare. Spesso la vision contiene frasi di impatto, facili da ricordare e di effetto.
La nostra vision iniziale era: “Our vision is to become the most used annotation and sharing tool for internet users, especially for social networks and mobile users.”

Ad esempio, la Nokia nel 2005 ha dichiarato che la sua nuova vision è: “Life goes Mobile”.

Sia mission che vision hanno un duplice compito, da una parte spiegano al mondo cosa stiamo offrendo e dove vogliamo arrivare, ma dall’altro lato devono essere la guida del team durante il percorso.

Spesso ho letto di startup fallite perchè non hanno avuto la loro mission chiara o perchè si sono allontanati troppo dalla vision iniziale. In pratica, ogni team deve avere ben chiaro in mente sia mission che vision ed affrontare le scelte che si susseguono durante la vita della startup sempre avendo ben chiaro cosa offrono e dove vogliono arrivare.

Per capirci, ogni volta che si presenta una scelta importante, come ad esempio: aggiungere o rimuovere funzionalità, partnership, grafica del servizio, ecc. la vostra bussola deve essere la mission e la vision deve essere lo strumento di conferma di una scelta piuttosto che un’altra.

Ogni volta vi dovete domandare: aggiungere una funzionalità X è utile per il servizio che sto offrendo (mission)? Mi aiuterà a raggiungere la mia vision?
Se la risposta è NO, molto probabilmente quella funzionalità non va implementata, sarebbe una inutile perdita di tempo…

Ad esempio, nella primissima versione di Ibrii, i nostri utenti avevano la possibilità di condividere una nota privata con altri utenti e tutti potevano modificarne il contenuto. Questo era un chiaro problema di concorrenza non facile da gestire e che ci avrebbe portato via tanto tempo per risolverlo. Quindi, abbiamo fatto appello alla nostra mission e ci siamo resi conto che da nessuna parte avevamo parlato di condivisione concorrente.

Per questo abbiamo deciso di eliminare del tutto quella funzionalità nelle versioni successive. Il tempo che avremmo perso per implementare una funzionalità inutile ai nostri scopi, lo abbiamo investito per funzionalità richieste direttamente dagli utenti.

Per concludere, sia mission che vision spesso sono sottovalutate dai team e vengono visti come qualcosa di poco concreto da raccontare solo durante il pitch…grave errore, grandi idee sono fallite perchè non sono stati seguiti con coerenza il percorso e gli obiettivi iniziali.

Ovviamente, se durante il percorso l’idea cambia…molto probabilmente cambieranno anche mission e vision.

Una buona mission ed una vision ambiziosa sono due dei punti di partenza per una startup di successo….l’importante è non perdersi e perseguirle fino alla fine.

Buona settimana a tutti,
Stefano Passatordi
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mercoledì 16 marzo 2011

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AngelList: il social network per investitori e startup

Da oltre un anno, AngelList fa parlare di sè in tutto il mondo.

Per la prima volta, investitori e startup di ogni dove hanno l'opportunità di mettersi in contatto senza grandi sforzi.

Bastano un computer ed una connessione internet per poter registrarsi ed accedere al social network mondiale dedicato a grandi VCs, importanti ed aspiranti Angels e promettenti e speranzose startup.

In poco più di 12 mesi, AngelList conta centinaia di investitori e migliaia di startup registrate. Diventa sempre più un punto di riferimento e di partenza per iniziare il fundraising.

Ieri, su Tech Fanpage, è stato pubblicato un mio post circa AngelList: come è nato e perchè, come funziona e che impatto sta avendo nel mondo degli investitori.

Buona lettura,
Stefano Passatordi
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venerdì 11 marzo 2011

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EnLabs: una occasione da non perdere


Sicuramente tanti di voi avranno già sentito o letto di EnLabs, un incubatore per startup a Roma e basato sul modello di YCombinator.

Luigi Capello, fondatore di EnLabs, sta offrendo una ghiotta opportunità per tutte le startup in fase di formazione. Il programma di incubazione prevede un investimento di 50k euro di cui 16k-20k euro in cash ed il resto in servizi di mentoring e spazio di lavoro.

La quota richiesta in cambio è del 15%, ovvero EnLabs valuta la vostra startup circa 283k euro pre-money, per un valore finale, post-money, di poco più di 333k euro.

Non male direi :)

Se siete interessati potete inviare la vostra candidatura andando sul sito di EnLabs e compilando l'application form. Avete tempo fino al 20 Marzo.

Per questa prima selezione, saranno resi disponibili 6 posti per altrettante startup. Al termine del programma di incubazione, ci sarà l'Investor Day in cui ogni startup potrà presentare la propria idea ad un gruppo di investitori.

Per ulteriori info:

http://www.enlabs.com/page/cartella-stampa-programma-incubazione


In bocca al lupo ad EnLabs e a tutte le startup!

Stefano Passatordi










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giovedì 3 marzo 2011

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Un tuffo nel fantastico mondo dei visti per andare negli USA!

Tutti i founders che vogliono provare ad andare in Silicon Valley sanno benissimo che senza un visto è molto difficile partire seriamente e stabilmente da quelle parti.

Se sei italiano puoi andare negli USA, come turista e senza alcun visto, per 6 mesi complessivi in un anno.

Fate bene attenzione:

1. I 6 mesi complessivi non possono essere continuativi. Dovete andare al max 3 mesi, poi uscire dagli USA e tornarci dopo 3 mesi e restare gli ultimi 3 mesi.

2. Come turista non potreste effettuare attività legate al business. Quindi niente contratti da firmare, niente accordi e niente finanziamenti...in teoria, solo foto e divertimento.

In pratica, però, come sappiamo...tanti di noi vanno lì cercando di restare il più possibile, a volte superando anche i limiti permessi.

Altro fattore negativo da considerare è il potere che hanno gli addetti alla dogana di bloccarti quando atterri negli USA e di rimandarti indietro...senza passare dal via!
Purtroppo, queste persone alla dogana hanno il diritto di bloccarti e di non farti proseguire il viaggio, solo perchè magari la tua faccia non gli piace...il vostro destino è in mano ad uno sconosciuto e viene deciso in pochi secondi :)

Credo che il segreto sia dimostrare chiaramente che non si ha intenzione di rimanere negli USA. Quindi, per persone sposate e con famiglia in Italia è molto più facile entrare ed uscire senza essere bloccati. Invece, per un ragazzo che vorrebbe sviluppare la propria startup lì è molto più difficile. Il rischio che tu possa restare lì a tempo indeterminato è altissimo..

Per questi motivi, chi, come me, vorrebbe spostarsi in California, deve tuffarsi nel fantastico mondo dei visti!

Negli ultimi giorni ho letto un libro che spiega tutti i possibili visti, in questo post cercherò di fare un velocissimo riassunto.

La prima distinzione da fare è tra GreenCard ed il VISA.
In tanti pensano che siano la stessa cosa o molto simili, invece sono due cose totalmente diverse.

La GreenCard ha come funziona principale quella di darti il diritto/permesso di essere ufficialmente cittadino residente negli USA. Se ottieni la GreenCard puoi entrare ed uscire dagli USA senza alcun limite ed hai tutti i diritti/doveri di un cittadino nato lì. Insomma, se ottiene la GreenCard puoi dire che “vivi in America!”.

Il VISA, invece, è un permesso temporaneo che può durare pochi mesi o anche qualche anno ma che è comunque e sempre limitato nel tempo. La sua durata e i diritti che ti concede solo legati al tipo di VISA che si riesce ad ottenere.

Di seguito i VISAs più gettonati dagli startupper (cliccate sulle immagini per leggere bene la descrizione):

1. Business and Tourist Visitors: B-1 and B-2 Visas

2. Temporary Specialty Workers: H-1B Visas

3. Temporary Nonagricultural Workers: H-2B Visas

4. Temporary Trainees: H-3 Visas

5. Intracompany Transfers: L-1 Visas

6. Treaty Traders: E-1 Visas

7. Treaty Investors: E-2 Visas

8. Students: F-1 and M-1 Visas



9. Exchange Visitors: J-1 Visas

10. Temporary Workers in Selected Occupations: O, P and R Visas



Non vi resta che studiare e capire quale possa essere quello giusto per la vostra situazione!

Spero vi possa essere utile ;)


Stefano Passatordi
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domenica 20 febbraio 2011

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Gioco Digitale, exit milionaria. Intervista ad uno dei fondatori: Carlo D'Acunto

Chi non conosce o non ha mai sentito parlare di Gioco Digitale????

Oggi vi propongo l'intervista a Carlo D'Acunto, co-founder di Gioco Digitale SpA e Technologies and Operations Director presso Bwin European Markets Holding.


1) Ciao Carlo, vuoi presentarti e dirci chi sei e cosa fai?

Ho 44 anni, vivo a Roma, ho una formazione liceale classica e una laurea in Ingegneria elettronica all’università La Sapienza di Roma. La tecnologia e l’arte sono tra le mie grandi passioni. Ho lavorato in piccole software house e in grandi aziende come Telecom Italia, Tin.it, Seat Pagine Gialle, Trenitalia, Lottomatica (in ciascuna azienda per qualche anno) prima di fondare Gioco Digitale alla fine del 2006 con Carlo Gualandri e Fausto Gimondi. Si comprende come io abbia avuto un’esperienza di manager nel mondo ICT orientato ai servizi prima di decidere di compiere il passo dell’impresa.

2) Potresti raccontarci qualcosa in più circa il tuo inizio, quando, per la prima volta, ti sei affacciato al mondo startup?

La mia prima volta, anche se da manager e non da founder, è stata all’inizio del 1996 quando sono entrato a far parte del primissimo team (eravamo in 6) che in Telecom Italia aveva l’obiettivo di seguire lo start-up di un Internet Service Provider (sarebbe poi nato nel marzo 1997 Tin.it) e quando, sempre nel 1996, ho collaborato alla nascita del portale Virgilio allora joint venture tra Telecom Italia e la start-up Matrix.
Proprio in quell’occasione ho conosciuto Carlo Gualandri, co-founder di Matrix, e altre persone con le quali sarebbero nate nel futuro importanti occasioni professionali. Gli anni successivi fino al 2001 mi hanno visto coinvolto nella nascita e nello sviluppo di alcuni servizi come la comunità virtuale Atlantide, l’instant messenger C6, Virgilio Community, diventati per un po’ di tempo fenomeno sociale e precursori “locali” di servizi come Microsoft Messenger e Facebook.

3) Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato lungo il tuo percorso da founder ad imprenditore di successo?

All’inizio la difficoltà maggiore è stata quella di trovare le persone con la giusta seniority con le quali costruire l’azienda, questo è accaduto per un insieme di fattori legati alla cultura e alla realtà del lavoro in Italia dove nel senso comune (esistono per fortuna eccezioni) start-up significa rischio piu’ che opportunita’.
La soluzione è stata sopperire direttamente e personalmente alla mancanza di una struttura di middle management e assumere e far crescere giovani di talento che non sentivano il peso di lasciare altrove una posizione professionale faticosamente conquistata.

4) Quali gli errori più importanti che hai commesso e che potrebbe commettere un giovane startupper?

Gli errori da evitare sono:

- non concentrarsi sul proprio core business, sulla sostanza del valore che si vuole creare cercando di creare e operare direttamente in modo inefficiente quello che altri potrebbero fornire dall’esterno con qualita’ maggiore;

- sottostimare l’impegno e l’energia richiesti e quindi pensare che possa bastare il talento. Per la mia esperienza non e’ cosi’: il talento, la capacità di vision e’ una condizione necessaria, ma non sufficiente per il successo della start-up. L’impegno, il lavoro e all’inizio il sacrificio del proprio tempo sono fondamentali ed è una cosa importante da mettere in conto.

5) Potresti raccontarci come è nata l’idea di GD, come avete iniziato e che numeri fate?

Nel 2006 lavoravo in Lottomatica insieme con Carlo Gualandri nella progettazione e quindi nella realizzazione del servizio Gratta e Vinci online (piattaforma+prodotto). Nell’estate di quell’anno viene approvato il decreto Bersani che liberalizza il gioco in Italia e stabilisce le regole per operarlo e per richiedere la licenza con gara europea a fine ottobre 2006.
In quel decreto che tendeva a regolare anche il gioco online abbiamo riconosciuto un’opportunita’ confidando nella nostra capacità di progettare ed erogare servizi online di qualità con costi accettabili e in tempi brevi. Siamo usciti da Lottomatica per partecipare in modo indipendente alla gara e fondare quindi Gioco Digitale cui subito dopo si e’ unito Fausto Gimondi.
Ottenuta la licenza abbiamo deciso di non cercare lo scontro frontale con gli altri operatori sul terreno delle Scommesse Sportive che in quel momento appariva il servizio con i numeri di business piu’ interessanti, non potendo noi competere con i budget a disposizione dei giganti del settore del gioco, ma abbiamo invece optato per offrire tatticamente Lotterie e Scommesse e puntare alla realizzazione di nuovi servizi come il Poker e il Bingo online.
Gioco Digitale è stato cosi’ il primo operatore legale a lanciare il Poker online in Italia prima for fun e poi per soldi e il primo operatore a lanciare il Bingo online.

Nel mese di gennaio 2011 il circuito di Poker Bwin - Gioco Digitale ha gestito transazioni online B2C e B2B per oltre 45 milioni di euro.

6) Potresti raccontarci come si è evoluto l’intero iter di acquisizione di GD da parte di bwin?


Una start-up di successo diventa facilmente appetibile: per alcuni mesi siamo stati corteggiati da diversi possibili investitori finche’ all’inizio dell’estate del 2009 abbiamo iniziato a sentire l’esigenza di farci affiancare da un partner in grado di realizzare economie di scala e di supportare la crescita in altri mercati regolati. Bwin che era interessata ai nostri numeri ci e’ parso il partner industriale giusto.
Ne sono seguiti incontri bilaterali di studio, discussione e approfondimento, due diligence su GD da parte di Bwin, certificazione del bilancio e quindi acquisizione il 6 ottobre 2009.
Erano passati meno di tre anni dalla fondazione.

7) Quale la sfida più importante che hai affrontato durante la tua esperienza con GD?

Riuscire a coniugare vision e pragmatismo, abbinare qualità e time to market.

8) Se tu ne avessi il potere, cosa cambieresti in Italia per agevolare e stimolare i giovani imprenditori?

Inserirei in tutte le scuole superiori e nella maggioranza delle facolta’ universitarie un corso di economia e cultura d’impresa, supportando il valore della “creazione” di lavoro da affiancare a quello tradizionale della “ricerca” di lavoro. Aumenterei la flessibilità’ del lavoro in generale e le agevolazioni fiscali per l’imprenditoria giovanile.

9) Quali sono i consigli che ti senti di dare ai giovani che oggi decidono di fondare una startup?

Una startup ha bisogno di un’idea di business valida e sostenibile e della capacità di realizzarla, cioe’ di persone motivate e consapevoli delle proprie capacità, know-how, principi etici condivisi, finanziamenti. La passione e’ un fattore fondamentale, portare a bordo persone che hanno passione per quello che fanno e che condividono l’etica fondamentale del lavoro è un fattore importante per il successo dell’iniziativa.
E’ sicuramente istruttivo studiare le esperienze di successo e di insuccesso degli altri. Prima di partire e’ fondamentale verificare con severita’ e rigore la vision, la strategia, il business plan, il sistema dei valori etici di riferimento. Dopo essere partiti e’ fondamentale essere flessibili, saper riconoscere il cambiamento, gli errori, l’evoluzione, non dando nulla per scontato e cambiando rotta per seguire le opportunita’.

10) Se oggi tu decidessi di fondare una startup, in che ambito punteresti?Sempre giochi online?

Il mondo del gioco non ha ancora esaurito le opportunita’, ma in generale punterei sull’Innovazione, intesa come servizi innovativi e tecnologici che migliorano l’esperienza delle persone. In realta’ insieme ad altre persone e in accordo con Bwin ci stiamo gia’ pensando...


Grazie Carlo!


Un saluto a tutti,
Stefano Passatordi
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domenica 13 febbraio 2011

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Startup e Italia

Tra il 2007 ed il 2008, ho avuto enormi difficoltà ad avvicinarmi al “mondo startup”. Su internet non riuscivo a trovare nulla che riguardasse il panorama italiano, nessun riferimento, nessun contatto. ZERO.

Quando spiegavo ai miei colleghi universitari cosa avevo in mente di fare e usavo il termine “startup”, la prima domanda era: “Cosa vuol dire startup?”

Io stesso, ho iniziato a leggere Techcrunch e Mashable per caso e grazie a loro ho imparato il significato di parole come startup, round, VC, Angel, seed e tutto il resto.

Pensate che sia Techcrunch e sia Mashable sono state fondate nel 2005. Parliamo di poco più di 5 anni fa. In cinque anni tutto è cambiato e si è evoluto alla velocità della luce.
Ad oggi, se penso ai pomeriggi del 2008, passati a leggere articoli sulle startup californiane, mi sembra di tornare indietro di 10 anni. Eppure ne sono passati solo poco più di tre.

Se oggi ripenso alla situazione che c’era in Italia nel 2008 e la confronto con quella attuale, non mi sembra possibile che in poco più di 3 anni le cose siano cambiate così rapidamente!

Sono arrivato a Roma a fine agosto 2009, dopo poche settimane il primo passo importante: è nato UpStart Roma. Il gruppo composto da 7 giovani amanti del web, è nato con lo scopo di iniziare a diffondere la cultura delle startup tra i giovani. Ricordo che il primo evento siglato UpStart fu un successone, oltre 100 persone si sono riunite per la prima volta a Roma, per parlare di startup e per presentare la propria idea agli altri.

Quell’evento è stata la prova che, oltre a noi 7, tantissimi altri giovani avevano voglia di incontrarsi per scambiare le proprie esperienze, idee e consigli sul proprio progetto, sulla propria startup. Nei mesi e negli anni a seguire, fortunamente, sono nate tantissime altre iniziative.

A livello nazionale, un importantissimo impatto lo ha sicuramente avuto Working Capital, che tramite il suo tour, ha dato la possibilità agli studenti di presentare le proprie idee. In parallelo, anche tante altre iniziative a livello locale. A Roma, ad esempio, sono nati: InnovationLab, gli Indigeni Digitali, le Girl Geek Dinners, Ignite Italia. Senza contare tanti altri eventi e gruppi che hanno contribuito ad affermare due concetti importanti: startup e networking. Negli ultimi anni, abbiamo anche visto la nascita di incubatori di startup distribuiti sull’intero territorio nazionale. Per non parlare dell'attivissimo gruppo ISS di Facebook con oltre 1.300 membri.

Insomma, non solo a Roma, ma anche a Milano, Bologna, Torino, Palermo e in tutte le maggiori città italiane sono nati spontaneamente gruppi ed iniziative che hanno contribuito e contribuiscono tutt’ora a far sì che l’Italia inizi ad essere un paese più innovativo e moderno.

Nel giro di pochi anni in Italia sono state gettate delle importanti basi per un futuro sempre più appartenente ai giovani che hanno voglia di fare tanto e di fare bene. A questo punto, però, credo che occorra fare il grande passo.

Da un pò di tempo, ormai, quando partecipo agli eventi, vedo ed incontro sempre le stesse persone. Vengono dette e raccontate sempre le stesse cose.

Quando vado ad un evento di networking e torno a casa con zero nuovi biglietti da visita, nessuno stimolo esterno, nessun nuovo feedback, nessun nuovo consiglio, nessun nuovo contatto..dal mio punto di vista, questo dovrebbe essere un campanello di allarme.

Fino ad ora è stato fatto tanto e ne siamo tutti contenti. Nell’ultimo anno, però, ho visto uno stallo della situazione. Non ho visto nuove iniziative per permettere ancora a questo ambiente di crescere, ho solo visto azioni di “contenimento”.

La mia domanda è: “Adesso che abbiamo posto le basi tutti insieme, vogliamo puntare in alto e riprendere a crescere o vogliamo continuare ad essere sempre gli stessi e a dirci sempre le stesse cose ad ogni evento?”.

Purtroppo, quello che sto vedendo troppo spesso in giro per gli eventi ed i vari incontri, sono solo parole, bellissime parole, piene di speranza e voglia di fare. Nella pratica però, non vedo cambiamenti. Forse, adesso siamo nella fase più difficile. Prima abbiamo piantato il seme e sembra che ci siamo riusciti, ora però c’è bisogno di prendere davvero coscienza di cosa vogliamo fare da grandi.

Ecco, secondo il mio modestissimo parere, quello che potremmo provare a fare per creare un tessuto socio-economico basato sulle startup e su un network che da e genera valore:

- Andare nelle università e anche nei licei per spiegare ai ragazzi che è possibile crearsi un lavoro e non bisogna sempre attendere che qualcuno ti chiami per lavorare. Questo compito, secondo me, spetta agli investitori e a tutti quelli che si dichiarano innovatori.
Bisogna partire dal basso e scuotere il sistema alla base. Così, forse, agli eventi avremo facce ed idee nuove.

- Consiglio agli investitori di smetterla di porsi sempre in una posizione più importante rispetto agli imprenditori. Non restate chiusi nei vostri uffici aspettando che gli imprenditori bussino alle vostre porte, uscite anche voi a cercare giovani brillanti e con la voglia di fare. Agli eventi (purtroppo è capitato troppo spesso durante l’ultima social media week) non siate rigidi ed impettiti, aspettando che qualche imprenditore si avvicini solo perchè: “Io sono l’investitore!”. Presentatevi voi ai ragazzi e chiedete voi a loro di raccontarvi la loro idea. Durante un evento a San Francisco, mentre io sorseggiavo tranquillo il mio cocktail, un certo Jeff Clavier si è avvicinato per parlare con me.

- Ai ragazzi consiglio di evitare di perdere tempo a lamentarsi del fatto che non riescono ad ottenere un finanziamento, peggio ancora di parlar male di chi lo ha ottenuto. Consiglio di concentrarsi sul perchè non hanno ottenuto un finanziamento e sul perchè altri ci sono riusciti. Da qualche parte state sbagliando.

- Affinchè si riesca a creare un network potente, c’è bisogno che tutti capiscano che non esistono guerre o interessi personali. Non deve vincere il concetto “se io fallisco allora devono fallire anche gli altri”, un network è potente quando tutti collaborano in maniera costruttiva. Spesso si può aiutare qualcuno senza pretendere per forza qualcosa in cambio. Un giorno, sarai tu ad essere aiutato.

E' un discorso troppo lungo e complicato da affrontare in un solo post. Spero che queste righe servano almeno a smuovere un poco gli animi.

Concludo dicendo che dobbiamo essere tutti contenti per i risultati che abbiamo ottenuto in Italia nel giro di pochi anni, ma c’è ancora tanto da fare. Secondo me, adesso, ci serve un cambio di mentalità. Da parte di tutti. Sicuramente la parte più difficile da affrontare e superare.

Ciao,
Stefano Passatordi
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mercoledì 2 febbraio 2011

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Startup e outsourcing

Uno dei principali ostacoli che deve affrontare una startup è la mancanza di cassa. Non avere i fondi necessari può voler significare non partire mai, oppure partire zoppicando ed essere costretti ad arrangiarsi.

In una situazione ideale, con cassa infinita, ogni startup dovrebbe avere: sviluppatori, esperti di user interaction, grafici, ingegneri, sistemisti, maghi del marketing, addetti alle vendite e bla bla bla.

Dimenticavo un particolare, ovviamente…tutti assunti!

Cosa avviene, invece, nel caso reale???

Nei casi fortunatissimi, la startup può contare su almeno due founder con competenze complementari e non uguali. In ogni caso, difficilmente due/tre persone potranno ricoprire in maniera efficace tutte le figure professionali necessarie per fare bene!

In questi casi la soluzione più comune si chiama outsourcing. In italiano si può tradurre con esternalizzazione, ovvero affidare parte del proprio processo produttivo a entità terze, esterne alla propria azienda.

Prima di affrontare il tema dell’outsourcing per le startup, vorrei ricordare e consigliare a tutti i team di provare a “completarsi” prima di rivolgersi all’esterno. In poche parole, quando formate il team provate a tirare dentro persone con professionalità diverse, ne “bastano” quattro: 1 programmatore bravo, 1 (mezzo)programmatore capace di occuparsi anche della parte gestionale, 1 grafico ed 1 che capisca di usabilità. Se partite con un team di questo tipo, in “teoria”, dovreste fare meglio e prima di altri..ma non è detto che due sole persone non possano far meglio di quattro!

In genere, una startup è fondata da almeno due persone. Nella maggior parte dei casi, queste persone sono tecnici. Se fossero due economisti, ad esempio, allora converrebbe far entrare nel team dei tecnici. (vedi paragrafo precedente)
Storicamente, i tecnici non sono bravi grafici e neanche bravi a valutare l’usabilità di una interfaccia. Per questo motivo, nella maggior parte dei casi, una startup si rivolge al mondo dell’outsourcing soprattutto per la grafica e l’usabilità. Ad esempio, 99designs è una ottima risorsa per arruolare grafici professionisti.

Sull’usabilità, per esperienze personale, vi sconsiglio di affidarvi a persone che si presentano come grafici e poi dicono che sono bravi anche nel valutare l’esperienza utente. Essere esperti in grafica è diverso da essere esperti in usabilità.

Un altro caso in cui si ricorre spesso all’esternalizzazione è quello del SEO (Search Engine Optimization). Personalmente ho avuto una pessima esperienza con un gruppo di “esperti” di SEO che si trovano in India. Per farla breve, ho perso tempo e denaro.

Così come il SEO, anche per le attività di marketing e PR (Public Relations), in genere, ci si rivolge all’esterno. Il giorno in cui farete seriamente marketing e PR internamente, vorrà dire che non siete più una startup :)

Diciamo che in generale, almeno a livello startup, vengono esternalizzate un pò tutte le attività tranne, ovviamente, lo sviluppo della parte core.

Vediamo adesso i vantaggi e gli svantaggi dell’outsourcing.

Come vantaggi sicuramente la capacità di scalare le risorse in base alle esigenze. Si pagano le risorse solo quando c’è effettivamente bisogno. Inoltre, potendo ogni volta scegliere il professionista di turno, si ha sempre la possibilità di trovare la persona giusta in base al budget a disposizione. In un unico concetto direi che l’outsourcing, se gestito bene, abbatte i costi di produzione e rende la struttura dell’organico snella e agile. Oggi siamo in 3, domani in 6, tra una settimana torniamo in 3.

Come svantaggi, secondo me, il più dannoso è l’impossibilità di costruire un know-how solido all’interno della startup. Affidarsi tutte le volte a persone nuove ed esterne, vuol dire investire in una risorsa che produce qualcosa ma che non apporta conoscenza all’interno del team. Inoltre, tutte le volte bisogna sperare di trovare la persona giusta, il professionista valido, che non fa perdere tempo e denaro.
C’è anche un altro aspetto, spesso sottovalutato, ovvero la lingua. Con piattaforme come odesk, ad esempio, è possibile contattare persone da tutto il mondo. Oggi capita il cinese, domani il bulgaro, poi il turco e poi il russo. Purtroppo, non tutti conoscono bene l’inglese e questo problema, spesso, è una barriera.

Per concludere, credo che l’outsourcing, se usato bene, sia un ottimo sistema per portare avanti la startup sostenendo costi adeguati.

Il mio consiglio è di affidare all’outsourcing sempre parti NON importanti del proprio progetto. Mai far sviluppare pezzi di codice core, va bene per componenti periferiche. Per tutto il resto, se non si ha nessuno nel team, allora potete affidare all’outsourcing un pò tutto. Dalla grafica, al marketing, all’usabilità, al SEO.

Ciao,
Stefano
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giovedì 20 gennaio 2011

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Gianluca Dettori: l'imprenditore

In questa intervista Gianluca Dettori si racconta prima come imprenditore e poi come investitore.

Immagino che la maggior parte dei giovani startupper conoscano Gianluca principalmente come fondatore di dPixel. Non tutti (soprattutto forse i più giovani) sanno che Gianluca è stato uno dei fondatori di Vitaminic, società quotata in borsa.

Ho chiesto a Gianluca di raccontarci la sua esperienza da imprenditore, dagli inizi ad oggi.

Nota: l'intervista è avvenuta a voce, le risposte che troverete scritte sono il frutto di un riassunto il più possibile puntuale di ciò che Gianluca ha detto a voce. In ogni caso, metterò a disposizione la versione audio per ogni domanda.

1) Ciao Gianluca, anche se in Italia sei già conosciuto ed affermato, vuoi presentarti brevemente, per i pochi che ancora non ti conoscono?

Ho 43 anni ed ho iniziato la mia carriera da imprenditore 15 anni fa in una startup internet che si chiamava ItaliaOnLine, successivamente sono passato in Lycos che era un motore di ricerca. In seguito ho fondato la mia startup, Vitaminic, con cui abbiamo effettuato diverse acquisizioni e la quotazione in borsa. Terminata l’esperienza con Vitaminic ho fondato dPixel, che è una società di venture capital che si occupa di investimenti seed nel campo di internet.




2) Potresti raccontarci qualcosa in più circa il tuo inizio, quando, per la prima volta, ti sei affacciato al mondo startup come imprenditore? Quali risultati hai raggiunto e in quanto tempo?

La prima esperienza significativa è stata in ItaliaOnLine. E’ stata fondata da un gruppo di 4 giornalisti del Sole24Ore e quando sono entrato io erano 10/15 dipendenti. La startup è stata finanziata sia dal Sole24Ore che da Olivetti. Il mio ruolo inziale è stato quello di assistente marketing. Il nostro obiettivo era quello di offrire un servizio di connettività consumer in Italia. In due anni siamo passati da un servizio che non esisteva a centinaia di migliaia di utenti. Durante questo percorso sono diventato prima direttore marketing e dopo direttore vendite. Dopo poco tempo dalla mia uscita dalla società, ItaliaOnLine è diventata Libero.



3) Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato lungo il tuo percorso da giovane founder ad imprenditore di successo?

Sicuramente dover affrontare molto rapidamente tante situazioni diverse che prima non avevo mai vissuto. Abbiamo fondato la società in 3 e nel giro di quasi 2 anni avevamo già raccolto 2 round di venture capital, assunto 100 persone, aperto in diverse nazioni, quotato la società in borsa e fatto la prima acquisizione. Quindi la difficoltà maggiore è stata la velocità. Cose che in genere capitano in 10 anni di lavoro, io le ho affrontate compresse in 3/4 anni.




4) Quali gli errori più importanti che hai commesso e che potrebbe commettere un giovane startupper?

Errori legati all’inesperienza, che ovviamente sono fisiologici. Certamente il maggiore errore è stato quello di non capire i tempi corretti di alcuni fenomeni. Eravamo un pò avanti rispetto al mercato. Anche quando avevamo 10Milioni di ricavi, in realtà, quella era solo una parte rispetto al vero mercato che noi abbiamo anticipato.




5) Se fosse possibile viaggiare nel tempo, credi che otterresti gli stessi risultati rifacendo adesso lo stesso percorso che hai fatto in passato?

Se penso a Vitaminic, credo che adesso sia più facile perchè adesso quella è una industria che ha una storia. 10 anni fa era tutto da inventare, adesso abbiamo sviluppato una consocenza tale che tutto diventa più semplice. Oggi c’è un mercato più solido, con fatturati altissimi e competitivo almeno quanto 10 anni fa. Diciamo che adesso è meno facile poter portare avanti progetti ambiziosi e trovare finanziamenti. E’ pur vero che oggi puoi fondare una azienda internet con meno risorse di 10 anni fa. In conclusione, credo che oggi sia più facile.




6) Sei un sostenitore della Banca Nazionale dell’Innovazione, ci spieghi perchè e come potrebbe migliorare la situazione attuale?

Attualmente, in Italia, il più importante venture capitalist è lo Stato. Siamo noi contribuenti. Ad oggi, in questo settore vengono assegnate cifre dell’ordine di 10Miliardi di euro, di cui una parte provengono dalla Comunità Europea. In quest’ultimo caso, se i fondi non vengono usati non vengono neanche erogati e, quindi, risultano persi. Per me, la Banca Nazione dell’Innovazione dovrebbe essere una community in grado di gestire in maniera privata almeno una parte dei fondi a disposizione. Credo che basti solo una parte di quei fondi, affidata a persone con esperienza e che investono in realtà ad alto impatto tecnologico, per poter migliorare la situazione attuale del Paese nel giro di qualche anno. Essendo fondi pubblici, la domanda è se i fondi a disposizione vengono spesi in maniera efficiente oppure se è possibile fare di meglio. La BNI vuole essere uno stimolo per provare a creare una nuova governance per questi fondi. Il mio suggerimento è di affiancare alle istituzioni delle persone esperte nel settore del venure capital per decidere come destinare ed investire le risorse a disposizione.




7) Secondo te, quale dovrebbe essere il ruolo delle università nell’ecosistema startup di un paese?

Secondo me, prima di tutto l’Università deve far bene l’Università. Questo è il suo ruolo principale. Un ruolo che, oggi come oggi, non riguarda solo la didattica, ma anche la ricerca e la capacità di creare valore anche all’esterno. Questo avviene tipicamente tramite la creazione di imprese (spinn-off) ed il trasferimento delle tecnologie.




8) Quali sono i consigli che ti senti di dare ai giovani che oggi decidono di fondare una startup?

Prima di tutto, consiglio di credere in se stessi. Bisogna però anche sapersi sempre mettere in gioco e in dubbio, almeno finchè non si arriva ad una validazione delle proprie idee e competenze. E’ importante avere delle idee ma è anche importante saper interagire con persone con esperienza maggiore. Quindi consiglio di raggiungere quel gisuto livello di consapevolezza del proprio progetto che ti permette di essere convincente e di trovare i soldi per inziare.




9) Quale è la tua posizione rispetto alla questione Silicon Valley, credi che oggi sia un passo dovuto quello di provare ad aprire la propria startup lì?

No altrimenti non avrei fondato dPixel! Noi siamo in Italia perchè siamo sicuri che si possa aver successo anche in Italia e restando in Italia. La Silicon Valley è il posto più bello della terra per provarci, però è la Silicon Valley. Il punto è capire il mercato. Se è un mercato internazionale allora credo che si possa aver successo anche dall’Italia.




10) A Londra è nato il London’s Silicon Roundabout , per tentare di contrastare la Silicon Valley. Ad oggi, cosa manca in Italia per poter creare una zona tecnologia forte, magari a Roma o Milano?

In Italia iniziano ad esserci un alto numero di startup, per cui potrebbe iniziare ad aver senso di aggregarsi fisicamente. A Roma sicuramente esiste un ecosistema startup molto significativo, sicuramente anche a Milano. Credo che dipenda tutto dal valore delle varie iniziative. Se sono solo questioni immobiliari allora ce ne sono già molti e non credo che questo possa aiutare ancora lo sviluppo delle startup italiane. Credo sarebbe più interessante se si creassero delle sinergie tra le varie startup e ci fosse un lavoro più coordinato e collaborativo.



11) Quali sono i tuoi progetti futuri?

Quest’anno saremo impegnati con i nuovi investimenti, poi con Working Capital che quest’anno sarà ancora più impegnativo. Lo scorso anno avevamo avviato il progetto di Startup Master che poi ha subito un rallentamento, ma contiamo di riprenderlo quanto prima.




Grazie Gianluca!


Ciao,
Stefano Passatordi



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domenica 16 gennaio 2011

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Incubatori in Italia

I problemi che deve affrontare una startup sono tantissimi e di varia natura. In questo post parleremo del problema degli spazi di lavoro e delle relative necessità.

Soprattutto nella fase iniziale, un team ha bisogno di:

- Un minimo di budget per sopravvivere.

- Un posto in cui lavorare tutti insieme.

- Creare un network che possa aiutare il team a crescere.

Per cercare di far fronte a queste esigenze, nel corso degli anni, sono nati i cosiddetti “incubatori di impresa”.

Lo scopo di questi posti è proprio quello di inglobare i vari team all’interno dei loro spazi, offrendo loro servizi di logistica e supporto in generale.

Ricordo che quando ero piccolo, alle scuole elementari, le maestre mi avevano fatto inserire in un bicchiere un pò di ovatta e sopra di essa un seme di una piantina. Poche gocce di acqua al giorno a temperatura ambiente e dopo qualche tempo il seme si trasformava in qualcosa di più grande e bello...una piantina!

Ecco, quando penso ad un incubatore di impresa...mi torna sempre in mente l’esperimento del seme nel bicchiere :)

Un incubatore di impresa, nel caso ideale, dovrebbe offrire un sostegno economico al team per almeno 3 mesi, uno spazio di lavoro con tutti i necessari strumenti, organizzare eventi ed incontri per mettere in contatto le varie startup incubate con potenziali investitori.

Insomma, l’incubatore dovrebbe creare un ambiente ideale per far diventare il seme una pianta forte e robusta!

Come tutti voi sapete, nella vita, nessuno vi regala nulla...in cambio di questi servizi, in genere, gli incubatori chiedono equity della società.

Tra il caso ideale ed il caso medio, esistono diverse sfumature. Conosco incubatori che offrono spazio e networking, ma non aiutano economicamente...anzi, chiedono di essere pagati a stanza/scrivania.

Altri, invece, prendono una parte di quote della società in cambio di somme che possono arrivare anche a 10/15k euro ed offrono spazi e contatti. Insomma, le offerte non mancano!

Dal mio punto di vista, almeno in teoria, un incubatore è una ottima opzione per una startup. Nel caso meno fortunato, avete degli spazi di lavoro a costi molto competitivi ed entrate in un network di persone e realtà che possono aiutarvi a crescere.

I criteri che io valuterei per scegliere un incubatore sono, in ordine:

1. Possibilità di ricevere aiuti economici. Se si, in cambio di cosa? Il gioco vale la candela? Non vorrano un pò troppo?

2. Lo spazio di lavoro. É importantissimo che lo spazio di lavoro stimoli la creatività, lo scambio di idee e che ti faccia sentire bene. Gli open space sono gli spazi che preferisco (il Pier38 che ho visitato a SF ne è un esempio eccellente!) perchè facilitano e stimolano la comunicazione e lo scambio di idee tra i team....ma spesso impediscono di lavorare a causa del troppo caos. Lo spazio dovrebbe avere dei posti in cui tutti i membri dei vari team si possano incontrare e rilassare. Una bella sala relax con delle console ed un LCD gigante non sarebbe una cattiva idea! Da non sottovalutare anche la possibilità di poter cucinare e mangiare direttamente negli spazi condivisi.In California, ho avuto modo di visitare degli incubatori che offrivano spazi con le caratteristiche di cui sopra..e vi posso assicurare che non volevo andar via da quei posti!

3. Quanto è “agganciato” l’incubatore? Avrete la possibilità di incontrare investitori importanti durante gli eventi? Insomma, valutate la potenza del network che l’incubarore può offrirvi. (...questo dovrebbe essere il primo criterio di scelta se avete dei fondi per sopravvivere)

Abbiamo visto cosa sono gli incubarori, cosa dovrebbero offrire (almeno in teoria) e quali possibili criteri usare per scegliere il migliore per le nostre esigenze. Adesso, vediamo quali incubatori ci sono in Italia:

*Nella mappa sono stati inseriti solo gli incubatori di mia conoscenza, sono certo che ve ne siano altri, vi prego di farmi sapere quali così da poterli aggiungere alla mappa


View Incubatori in a larger map


Adesso avete tutte le informazioni necessarie per poter decidere se e quale incubatore fa al caso vostro!

Grazie,
Stefano Passatordi
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martedì 28 dicembre 2010

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YouStartUp: i primi 9 mesi



Prima di augurarvi un buon 2011, qualche numero circa i primi 9 mesi di vita di questo blog:

- 52 post totali -> quasi 6 al mese

- oltre 9000 accessi unici. Dopo l'Italia, il secondo paese sono gli USA, in particolare la California.



- 2 dicembre il giorno con maggiori accessi unici (oltre 300) dovuti al post: "Startup: la dura verità!"

- I 5 post più letti in assoluto:

1. Startup: la dura verità! - 589 letture

2. L'esperienza di un imprenditore italiano che ha tanto da insegnare: Augusto Coppola - 512 letture

3. Un imprenditore italiano che si è affermato anche in Silicon Valley: Fabrizio Capobianco - 509 letture

4. SRL, LTD o INC ? Quale società per la vostra startup? - 487 letture

5. Imparare dall’esperienza: 10 errori da non commettere (di nuovo) - 476 letture

- Facebook si conferma come maggiore sorgente di accessi (42%), seguito da accessi diretti (21%), google (14%). Il restante 23% da vari altri blog e siti.

- Secondo feedburner, 148 persone leggono il blog direttamente nel loro feed rss

- Il browser più usato per leggere il blog è Firefox (42%), seguito da Chrome (29%), Safari (13%). Il restante 16% diviso tra altri browser.

Questi numeri per me sono un successo, grazie a tutti!




BUON ANNO A TUTTI!

Stefano Passatordi
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venerdì 24 dicembre 2010

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Buon Natale a tutti!


Auguri di Buon Natale e buone feste a tutti!


Stefano Passatordi
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lunedì 20 dicembre 2010

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Classi di azioni e dintorni, interviene l'esperto: Filippo Beretta


Il 21 Novembre ho postato sul tema del Term Sheet.
A seguito del post, molti mi hanno scritto chiedendo chiarimenti ulteriori specialmente sulle clausole e sui tipi di azioni.

Come già avevo fatto lo scorso Luglio, ho chiesto all’amico Filippo Beretta di aiutarmi a dare una risposta precisa e strutturata.Filippo è il fiduciario in USA di Ibrii e da quasi un decennio vive e lavora a Boston, ed è il fondatore di Motu Novu.

In questo suo post, come già l’altra volta, Filippo correggerà alcune mie inesattezze (non voletemene, provo a fare l’imprenditore, non il commercialista!) e approfondirà il discorso.

Ecco:

-- Su richiesta di Stefano, che ringrazio per l’ospitalità sul suo utile blog, intervengo questa volta sui seguenti temi:

1) tipologie di azioni e generale differenza tra common stock e preferred stock;
2) diritti patrimoniali;

3) diritti di governance;

4) classi di azioni.


Sorvolo le presentazioni, potete trovare tutto sul mio profilo.
Segnalo per trasparenza: la mia società di advisory, Motu Novu, offre tra l’altro servizi fiduciari (leggi: apertura e gestione amministrativa, legale, contabile, fiscale di società) in USA, e si rivolge sia a startup tecnologiche che a PMI industriali che desiderino aprire/gestire una sussidiaria commerciale in america. Sono anche l'entrepreneur in residence di DPixel e uno dei finanziatori (indiretti) di Ibrii.

1. Common e Preferred

La proprietà e il controllo delle società per azioni (es. SpA in Italia o Inc in USA) è esercitato attraverso strumenti finanziari chiamati “azioni” (“shares”).
Nella loro totalità, tutte le azioni di una società ne rappresentano il capitale (“stock capital”). Per questo, quando ci si riferisce ad azioni in modo collettivo, talvolta si usa il termine “stock”, come abbreviazione di “shares of stock capital”.
Le azioni sono strumenti finanziari che cartolarizzano alcuni diritti, ovvero attribuiscono questi diritti non ad uno dei soci direttamente in quanto tale, ma indirettamente in quanto possessore delle azioni, e spesso in misura proporzionale al numero di azioni possedute. In questo modo, per trasferire i diritti basta trasferire le azioni. Una società può avere diverse tipologie di azioni, dette “classi”, ciascuna con differenti diritti. Il tipo più semplice di azione assegna 1 diritto di proprietà e 1 diritto di voto per ciascuna azione posseduta. Il socio avrà dunque diritti di proprietà e di voto proporzionali al numero di azioni possedute.

Se un’azienda ha emesso 100 azioni di questo tipo, e il socio Stefano ne possiede 40, si può dire che Stefano possiede il 40% dell’azienda e vota per il 40% nell’assemblea dei soci. Questo tipo “base” di azioni è tipicamente detto “azioni ordinarie” o “common stock”.

Azioni con diritti ulteriori rispetto a quelli delle azioni ordinarie sono dette “azioni privilegiate” (privilegiate nel senso che hanno diritti diversi, e tipicamente più diritti, ovvero hanno dei privilegi, rispetto a quelle ordinarie o common) o anche “preferred stock”.

Da notare che le azioni privilegiate possono in alcuni casi avere anche meno diritti di quelle common. Caso tipico: le azioni privilegiate di società quotate, che hanno diritto a dividendi superiori rispetto alle azioni ordinarie, ma non hanno diritto di voto.

2. Diritti patrimoniali

Per “diritti patrimoniali” si intendono tutti quei diritti – associabili ad una classe di azioni – che attribuiscono un benefici economico diretto, attuale o potenziale.
Propongo qui una lista dei principali, descrivendo soltanto quelli non già descritti da Stefano nel suo post sul Term Sheet.

Diritto di proprietà / Property right.

Attribuisce il diritto fondamentale di proprietà (pro-quota) della società. Di norma, la % di proprietà (“fractional ownership”) di una società da parte di un socio è direttamente proporzionale al numero di azioni posseduta dal quel socio.
Tuttavia, in alcune giurisdizioni, è possibile assegnare una quota più (o meno) che proporzionale.

Diritto di prelazione / Right of first refusal.

Rimando alla descrizione fatta da Stefano nel suo post, aggiungendo solo che questo diritto di norma non è incapsulato in una classe di azioni, ma deciso tra i soci con un patto parasociale. Questo per evitare che sia “trasferibile” come lo sono le azioni, mantenendo il diritto esclusivamente tra i soci originali.

• Diritto di partecipazione agli utili / Dividend right.

Per una startup allo sbaraglio parlare di utili e di dividendi può far sorridere, ma almeno per alcune startup il giorno verrà in cui l’azienda potrà pagare dei dividendi, anche magari soltanto come strumento per un’operazione semi-complessa di ricapitalizzazione.
Il dividend right determina se e in quale misura il possessore di una azione può ottenere dei dividendi, qualora ve ne siano.
Il caso tipico: azioni privilegiate i cui possessori hanno diritto preferenziale ai dividendi, se ve ne sono e fino ad una certa misura (es. 5% del valore di mercato dell’azione) rispetto ai possessori di azioni ordinarie.

Attenzione: il tema è rilevante anche per gli startupper perchè talvolta il dividend right è usato in modo surrettizio come un tipo di liquidation preference (vedi sotto.)

• Accordi di co-vendita / Tag-along e drag-along.

Rimando al post di Stefano.

Preferenza di liquidità / Liquidation preference.

Rimando al post di Stefano.

Diritto di riscatto / Redemption right.

Rimando al post di Stefano.

Diritto di registrazione / Registration right.

Nota: questo diritto è rilevante solo per le società di diritto americano, ma per queste può avere un effetto imporantante, quindi lo includo.

Il diritto di registrazione consente il possessore (tipicamente: il VC) di costringere l’azienda a registrare le proprie azioni con la Security and Exchange Commission (SEC). La registrazione è necessaria per l’initial public offering (IPO) e anche in alcuni casi di compravendita. Poichè può costare facilemente $1-$2m, l’azienda potrebbe voler far pagare al VC: “vuoi fare l’IPO a queste condizioni? Bene, paga tu”.
Il VC dunque si premunisce e inserisce questo diritto nella classe di azioni privilegiate in suo possesso sin dall’inizio.

Accordo di non diluzione / Anti-dilution provision.

Questo è senz’altro, insieme a liquidation preference (vedi sopra) uno dei due diritti più dibattuti (talvolta in modo molto acceso) tra imprenditori e investitori in sede di negoziazione del term sheet e conseguente definizione delle classi di azioni.

Incidentalmente, si tratta anche di un tema dalle meccaniche talvolta abbastanza complesse, che forse (se Stefano mi ospiterà di nuovo) meriterebbe un post a parte. ["Filippo puoi già metterlo in agenda! ;) "]

In estrema sintesi, e senza entrare nel merito delle varie tipologie di anti-dilution (ce ne sono molte): il possessore di azioni con anti-dilution ha diritto di ottenere, in caso di down round, altre azioni a prezzo scontato o gratuito, cosi che non si diluisca.

Faccio un esempio, il più semplice. L’azienda Obroo ha emesso il primo round a $10 per azione. L’investitore DBit ha 100 azioni privilegiate, con anti dilution di tipo full-ratchet, che gli danno il 40% dell’azienda.
Se nel round successivo le cose non sono andate troppo bene, e il prezzo di emissione è di $5 per azione, l’investitore DBit avrà diritto ad ottenere gratis tante azioni quante ne avrebbe avute se il prezzo del round precedente fosse anch’esso stato $5.

Leggi: se l’equity story dell’azienda funziona e il prezzo di emissione nei vari round segue una funzione monotona crescente, l’anti-dilution non viene mai esercitata. Se qualcosa va storto, l’investitore è protetto appunto, contro la diluzione, a spese dei possessori di classi di azioni meno privilegiate o common (tipicamente gli imprenditori.)

Diritto di conversione / Conversion right.

Pressochè tutte le azioni privilegiate includono il diritto di conversione, a richiesta del possessore, in un uguale numero di azioni common. Questo diritto è tipicamente esercitato in caso di cessione o IPO, quando l’acquirente / il mercato preferisce aziende con un solo tipo di azioni.

3. Diritti di governance

• Diritto di voto / Voting right.

Per ovvio, ma quasi tutte le tipologie di azioni hanno dei diritti di voto.
Il caso più semplice è un’azione common con 1 diritto di voto per azione. In assemblea, hai tanti voti quante azioni possiedi. Tuttavia, si possono creare classi di azioni con molteplici diritti di voto, o con nessuno. Il primo caso è talvolta usato per fare “founders shares” che mantengono il controllo dell’assemblea anche in caso di forte diluizione dovuta a successivi e ingenti round di finanziamento. Questo è possibile solo se l’equity story “gira davvero”, e tipicamente non è accettato dagli investitori istituzionali.
Il secondo caso, già menzionato sopra, è quello di azioni privilegiate con forti diritti patrimoniali (specie in tema di dividendi) ma senza diritto di voto.

• Diritto di partecipazione al consiglio di amministrazione / Board seat(s).

Rimando al post di Stefano.

• Information rights.

Rimando al post di Stefano.

• Veto rights.

Rimando al post di Stefano.

4. Classi di azioni

Come scritto sopra, una società può avere diverse tipologie di azioni, dette “classi”, ciascuna con differenti diritti.
Tipicamente, i fondatori ricevono azioni di tipo common, anche se talvolta queste hanno diritti di voto allargati e/o altre privilegi, e in questo caso vengono spesso chiamate founders’ shares. Eventuali round successivi di raccolta di capitale completati con l’emissione di azioni spesso utilizzano classi di azioni privilegiate.

Queste nuove classi di azioni sono tipicamente indicate con lettere maiuscole progressive, dalla A in avanti, chiamate dunque, per esempio: “Series A”, “Series B”, ecc. dove sta per “serie o gruppo di azioni emesse”.

Di norma, le azioni di series successive tendono ad avere prezzo di emissione più alto (a meno di un down round, che fa scattare l’anti-dilution, vedi sopra) e diritti più ampi, specie quelli patrimoniali, rispetto alle azioni di series precedenti. --


Spero di aver contribuito (sebbene in misura del tutto generale) a chiarire un pochino la questione.

Invito chi abbia ulteriori dubbi o domande a contattarmi direttamente.

Filippo Beretta Founder, Motu Novu
Email: fiduciary at motu novu dot com


Grazie Filippo!

Stefano Passatordi
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