domenica 20 febbraio 2011

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Gioco Digitale, exit milionaria. Intervista ad uno dei fondatori: Carlo D'Acunto

Chi non conosce o non ha mai sentito parlare di Gioco Digitale????

Oggi vi propongo l'intervista a Carlo D'Acunto, co-founder di Gioco Digitale SpA e Technologies and Operations Director presso Bwin European Markets Holding.


1) Ciao Carlo, vuoi presentarti e dirci chi sei e cosa fai?

Ho 44 anni, vivo a Roma, ho una formazione liceale classica e una laurea in Ingegneria elettronica all’università La Sapienza di Roma. La tecnologia e l’arte sono tra le mie grandi passioni. Ho lavorato in piccole software house e in grandi aziende come Telecom Italia, Tin.it, Seat Pagine Gialle, Trenitalia, Lottomatica (in ciascuna azienda per qualche anno) prima di fondare Gioco Digitale alla fine del 2006 con Carlo Gualandri e Fausto Gimondi. Si comprende come io abbia avuto un’esperienza di manager nel mondo ICT orientato ai servizi prima di decidere di compiere il passo dell’impresa.

2) Potresti raccontarci qualcosa in più circa il tuo inizio, quando, per la prima volta, ti sei affacciato al mondo startup?

La mia prima volta, anche se da manager e non da founder, è stata all’inizio del 1996 quando sono entrato a far parte del primissimo team (eravamo in 6) che in Telecom Italia aveva l’obiettivo di seguire lo start-up di un Internet Service Provider (sarebbe poi nato nel marzo 1997 Tin.it) e quando, sempre nel 1996, ho collaborato alla nascita del portale Virgilio allora joint venture tra Telecom Italia e la start-up Matrix.
Proprio in quell’occasione ho conosciuto Carlo Gualandri, co-founder di Matrix, e altre persone con le quali sarebbero nate nel futuro importanti occasioni professionali. Gli anni successivi fino al 2001 mi hanno visto coinvolto nella nascita e nello sviluppo di alcuni servizi come la comunità virtuale Atlantide, l’instant messenger C6, Virgilio Community, diventati per un po’ di tempo fenomeno sociale e precursori “locali” di servizi come Microsoft Messenger e Facebook.

3) Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato lungo il tuo percorso da founder ad imprenditore di successo?

All’inizio la difficoltà maggiore è stata quella di trovare le persone con la giusta seniority con le quali costruire l’azienda, questo è accaduto per un insieme di fattori legati alla cultura e alla realtà del lavoro in Italia dove nel senso comune (esistono per fortuna eccezioni) start-up significa rischio piu’ che opportunita’.
La soluzione è stata sopperire direttamente e personalmente alla mancanza di una struttura di middle management e assumere e far crescere giovani di talento che non sentivano il peso di lasciare altrove una posizione professionale faticosamente conquistata.

4) Quali gli errori più importanti che hai commesso e che potrebbe commettere un giovane startupper?

Gli errori da evitare sono:

- non concentrarsi sul proprio core business, sulla sostanza del valore che si vuole creare cercando di creare e operare direttamente in modo inefficiente quello che altri potrebbero fornire dall’esterno con qualita’ maggiore;

- sottostimare l’impegno e l’energia richiesti e quindi pensare che possa bastare il talento. Per la mia esperienza non e’ cosi’: il talento, la capacità di vision e’ una condizione necessaria, ma non sufficiente per il successo della start-up. L’impegno, il lavoro e all’inizio il sacrificio del proprio tempo sono fondamentali ed è una cosa importante da mettere in conto.

5) Potresti raccontarci come è nata l’idea di GD, come avete iniziato e che numeri fate?

Nel 2006 lavoravo in Lottomatica insieme con Carlo Gualandri nella progettazione e quindi nella realizzazione del servizio Gratta e Vinci online (piattaforma+prodotto). Nell’estate di quell’anno viene approvato il decreto Bersani che liberalizza il gioco in Italia e stabilisce le regole per operarlo e per richiedere la licenza con gara europea a fine ottobre 2006.
In quel decreto che tendeva a regolare anche il gioco online abbiamo riconosciuto un’opportunita’ confidando nella nostra capacità di progettare ed erogare servizi online di qualità con costi accettabili e in tempi brevi. Siamo usciti da Lottomatica per partecipare in modo indipendente alla gara e fondare quindi Gioco Digitale cui subito dopo si e’ unito Fausto Gimondi.
Ottenuta la licenza abbiamo deciso di non cercare lo scontro frontale con gli altri operatori sul terreno delle Scommesse Sportive che in quel momento appariva il servizio con i numeri di business piu’ interessanti, non potendo noi competere con i budget a disposizione dei giganti del settore del gioco, ma abbiamo invece optato per offrire tatticamente Lotterie e Scommesse e puntare alla realizzazione di nuovi servizi come il Poker e il Bingo online.
Gioco Digitale è stato cosi’ il primo operatore legale a lanciare il Poker online in Italia prima for fun e poi per soldi e il primo operatore a lanciare il Bingo online.

Nel mese di gennaio 2011 il circuito di Poker Bwin - Gioco Digitale ha gestito transazioni online B2C e B2B per oltre 45 milioni di euro.

6) Potresti raccontarci come si è evoluto l’intero iter di acquisizione di GD da parte di bwin?


Una start-up di successo diventa facilmente appetibile: per alcuni mesi siamo stati corteggiati da diversi possibili investitori finche’ all’inizio dell’estate del 2009 abbiamo iniziato a sentire l’esigenza di farci affiancare da un partner in grado di realizzare economie di scala e di supportare la crescita in altri mercati regolati. Bwin che era interessata ai nostri numeri ci e’ parso il partner industriale giusto.
Ne sono seguiti incontri bilaterali di studio, discussione e approfondimento, due diligence su GD da parte di Bwin, certificazione del bilancio e quindi acquisizione il 6 ottobre 2009.
Erano passati meno di tre anni dalla fondazione.

7) Quale la sfida più importante che hai affrontato durante la tua esperienza con GD?

Riuscire a coniugare vision e pragmatismo, abbinare qualità e time to market.

8) Se tu ne avessi il potere, cosa cambieresti in Italia per agevolare e stimolare i giovani imprenditori?

Inserirei in tutte le scuole superiori e nella maggioranza delle facolta’ universitarie un corso di economia e cultura d’impresa, supportando il valore della “creazione” di lavoro da affiancare a quello tradizionale della “ricerca” di lavoro. Aumenterei la flessibilità’ del lavoro in generale e le agevolazioni fiscali per l’imprenditoria giovanile.

9) Quali sono i consigli che ti senti di dare ai giovani che oggi decidono di fondare una startup?

Una startup ha bisogno di un’idea di business valida e sostenibile e della capacità di realizzarla, cioe’ di persone motivate e consapevoli delle proprie capacità, know-how, principi etici condivisi, finanziamenti. La passione e’ un fattore fondamentale, portare a bordo persone che hanno passione per quello che fanno e che condividono l’etica fondamentale del lavoro è un fattore importante per il successo dell’iniziativa.
E’ sicuramente istruttivo studiare le esperienze di successo e di insuccesso degli altri. Prima di partire e’ fondamentale verificare con severita’ e rigore la vision, la strategia, il business plan, il sistema dei valori etici di riferimento. Dopo essere partiti e’ fondamentale essere flessibili, saper riconoscere il cambiamento, gli errori, l’evoluzione, non dando nulla per scontato e cambiando rotta per seguire le opportunita’.

10) Se oggi tu decidessi di fondare una startup, in che ambito punteresti?Sempre giochi online?

Il mondo del gioco non ha ancora esaurito le opportunita’, ma in generale punterei sull’Innovazione, intesa come servizi innovativi e tecnologici che migliorano l’esperienza delle persone. In realta’ insieme ad altre persone e in accordo con Bwin ci stiamo gia’ pensando...


Grazie Carlo!


Un saluto a tutti,
Stefano Passatordi
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domenica 13 febbraio 2011

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Startup e Italia

Tra il 2007 ed il 2008, ho avuto enormi difficoltà ad avvicinarmi al “mondo startup”. Su internet non riuscivo a trovare nulla che riguardasse il panorama italiano, nessun riferimento, nessun contatto. ZERO.

Quando spiegavo ai miei colleghi universitari cosa avevo in mente di fare e usavo il termine “startup”, la prima domanda era: “Cosa vuol dire startup?”

Io stesso, ho iniziato a leggere Techcrunch e Mashable per caso e grazie a loro ho imparato il significato di parole come startup, round, VC, Angel, seed e tutto il resto.

Pensate che sia Techcrunch e sia Mashable sono state fondate nel 2005. Parliamo di poco più di 5 anni fa. In cinque anni tutto è cambiato e si è evoluto alla velocità della luce.
Ad oggi, se penso ai pomeriggi del 2008, passati a leggere articoli sulle startup californiane, mi sembra di tornare indietro di 10 anni. Eppure ne sono passati solo poco più di tre.

Se oggi ripenso alla situazione che c’era in Italia nel 2008 e la confronto con quella attuale, non mi sembra possibile che in poco più di 3 anni le cose siano cambiate così rapidamente!

Sono arrivato a Roma a fine agosto 2009, dopo poche settimane il primo passo importante: è nato UpStart Roma. Il gruppo composto da 7 giovani amanti del web, è nato con lo scopo di iniziare a diffondere la cultura delle startup tra i giovani. Ricordo che il primo evento siglato UpStart fu un successone, oltre 100 persone si sono riunite per la prima volta a Roma, per parlare di startup e per presentare la propria idea agli altri.

Quell’evento è stata la prova che, oltre a noi 7, tantissimi altri giovani avevano voglia di incontrarsi per scambiare le proprie esperienze, idee e consigli sul proprio progetto, sulla propria startup. Nei mesi e negli anni a seguire, fortunamente, sono nate tantissime altre iniziative.

A livello nazionale, un importantissimo impatto lo ha sicuramente avuto Working Capital, che tramite il suo tour, ha dato la possibilità agli studenti di presentare le proprie idee. In parallelo, anche tante altre iniziative a livello locale. A Roma, ad esempio, sono nati: InnovationLab, gli Indigeni Digitali, le Girl Geek Dinners, Ignite Italia. Senza contare tanti altri eventi e gruppi che hanno contribuito ad affermare due concetti importanti: startup e networking. Negli ultimi anni, abbiamo anche visto la nascita di incubatori di startup distribuiti sull’intero territorio nazionale. Per non parlare dell'attivissimo gruppo ISS di Facebook con oltre 1.300 membri.

Insomma, non solo a Roma, ma anche a Milano, Bologna, Torino, Palermo e in tutte le maggiori città italiane sono nati spontaneamente gruppi ed iniziative che hanno contribuito e contribuiscono tutt’ora a far sì che l’Italia inizi ad essere un paese più innovativo e moderno.

Nel giro di pochi anni in Italia sono state gettate delle importanti basi per un futuro sempre più appartenente ai giovani che hanno voglia di fare tanto e di fare bene. A questo punto, però, credo che occorra fare il grande passo.

Da un pò di tempo, ormai, quando partecipo agli eventi, vedo ed incontro sempre le stesse persone. Vengono dette e raccontate sempre le stesse cose.

Quando vado ad un evento di networking e torno a casa con zero nuovi biglietti da visita, nessuno stimolo esterno, nessun nuovo feedback, nessun nuovo consiglio, nessun nuovo contatto..dal mio punto di vista, questo dovrebbe essere un campanello di allarme.

Fino ad ora è stato fatto tanto e ne siamo tutti contenti. Nell’ultimo anno, però, ho visto uno stallo della situazione. Non ho visto nuove iniziative per permettere ancora a questo ambiente di crescere, ho solo visto azioni di “contenimento”.

La mia domanda è: “Adesso che abbiamo posto le basi tutti insieme, vogliamo puntare in alto e riprendere a crescere o vogliamo continuare ad essere sempre gli stessi e a dirci sempre le stesse cose ad ogni evento?”.

Purtroppo, quello che sto vedendo troppo spesso in giro per gli eventi ed i vari incontri, sono solo parole, bellissime parole, piene di speranza e voglia di fare. Nella pratica però, non vedo cambiamenti. Forse, adesso siamo nella fase più difficile. Prima abbiamo piantato il seme e sembra che ci siamo riusciti, ora però c’è bisogno di prendere davvero coscienza di cosa vogliamo fare da grandi.

Ecco, secondo il mio modestissimo parere, quello che potremmo provare a fare per creare un tessuto socio-economico basato sulle startup e su un network che da e genera valore:

- Andare nelle università e anche nei licei per spiegare ai ragazzi che è possibile crearsi un lavoro e non bisogna sempre attendere che qualcuno ti chiami per lavorare. Questo compito, secondo me, spetta agli investitori e a tutti quelli che si dichiarano innovatori.
Bisogna partire dal basso e scuotere il sistema alla base. Così, forse, agli eventi avremo facce ed idee nuove.

- Consiglio agli investitori di smetterla di porsi sempre in una posizione più importante rispetto agli imprenditori. Non restate chiusi nei vostri uffici aspettando che gli imprenditori bussino alle vostre porte, uscite anche voi a cercare giovani brillanti e con la voglia di fare. Agli eventi (purtroppo è capitato troppo spesso durante l’ultima social media week) non siate rigidi ed impettiti, aspettando che qualche imprenditore si avvicini solo perchè: “Io sono l’investitore!”. Presentatevi voi ai ragazzi e chiedete voi a loro di raccontarvi la loro idea. Durante un evento a San Francisco, mentre io sorseggiavo tranquillo il mio cocktail, un certo Jeff Clavier si è avvicinato per parlare con me.

- Ai ragazzi consiglio di evitare di perdere tempo a lamentarsi del fatto che non riescono ad ottenere un finanziamento, peggio ancora di parlar male di chi lo ha ottenuto. Consiglio di concentrarsi sul perchè non hanno ottenuto un finanziamento e sul perchè altri ci sono riusciti. Da qualche parte state sbagliando.

- Affinchè si riesca a creare un network potente, c’è bisogno che tutti capiscano che non esistono guerre o interessi personali. Non deve vincere il concetto “se io fallisco allora devono fallire anche gli altri”, un network è potente quando tutti collaborano in maniera costruttiva. Spesso si può aiutare qualcuno senza pretendere per forza qualcosa in cambio. Un giorno, sarai tu ad essere aiutato.

E' un discorso troppo lungo e complicato da affrontare in un solo post. Spero che queste righe servano almeno a smuovere un poco gli animi.

Concludo dicendo che dobbiamo essere tutti contenti per i risultati che abbiamo ottenuto in Italia nel giro di pochi anni, ma c’è ancora tanto da fare. Secondo me, adesso, ci serve un cambio di mentalità. Da parte di tutti. Sicuramente la parte più difficile da affrontare e superare.

Ciao,
Stefano Passatordi
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mercoledì 2 febbraio 2011

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Startup e outsourcing

Uno dei principali ostacoli che deve affrontare una startup è la mancanza di cassa. Non avere i fondi necessari può voler significare non partire mai, oppure partire zoppicando ed essere costretti ad arrangiarsi.

In una situazione ideale, con cassa infinita, ogni startup dovrebbe avere: sviluppatori, esperti di user interaction, grafici, ingegneri, sistemisti, maghi del marketing, addetti alle vendite e bla bla bla.

Dimenticavo un particolare, ovviamente…tutti assunti!

Cosa avviene, invece, nel caso reale???

Nei casi fortunatissimi, la startup può contare su almeno due founder con competenze complementari e non uguali. In ogni caso, difficilmente due/tre persone potranno ricoprire in maniera efficace tutte le figure professionali necessarie per fare bene!

In questi casi la soluzione più comune si chiama outsourcing. In italiano si può tradurre con esternalizzazione, ovvero affidare parte del proprio processo produttivo a entità terze, esterne alla propria azienda.

Prima di affrontare il tema dell’outsourcing per le startup, vorrei ricordare e consigliare a tutti i team di provare a “completarsi” prima di rivolgersi all’esterno. In poche parole, quando formate il team provate a tirare dentro persone con professionalità diverse, ne “bastano” quattro: 1 programmatore bravo, 1 (mezzo)programmatore capace di occuparsi anche della parte gestionale, 1 grafico ed 1 che capisca di usabilità. Se partite con un team di questo tipo, in “teoria”, dovreste fare meglio e prima di altri..ma non è detto che due sole persone non possano far meglio di quattro!

In genere, una startup è fondata da almeno due persone. Nella maggior parte dei casi, queste persone sono tecnici. Se fossero due economisti, ad esempio, allora converrebbe far entrare nel team dei tecnici. (vedi paragrafo precedente)
Storicamente, i tecnici non sono bravi grafici e neanche bravi a valutare l’usabilità di una interfaccia. Per questo motivo, nella maggior parte dei casi, una startup si rivolge al mondo dell’outsourcing soprattutto per la grafica e l’usabilità. Ad esempio, 99designs è una ottima risorsa per arruolare grafici professionisti.

Sull’usabilità, per esperienze personale, vi sconsiglio di affidarvi a persone che si presentano come grafici e poi dicono che sono bravi anche nel valutare l’esperienza utente. Essere esperti in grafica è diverso da essere esperti in usabilità.

Un altro caso in cui si ricorre spesso all’esternalizzazione è quello del SEO (Search Engine Optimization). Personalmente ho avuto una pessima esperienza con un gruppo di “esperti” di SEO che si trovano in India. Per farla breve, ho perso tempo e denaro.

Così come il SEO, anche per le attività di marketing e PR (Public Relations), in genere, ci si rivolge all’esterno. Il giorno in cui farete seriamente marketing e PR internamente, vorrà dire che non siete più una startup :)

Diciamo che in generale, almeno a livello startup, vengono esternalizzate un pò tutte le attività tranne, ovviamente, lo sviluppo della parte core.

Vediamo adesso i vantaggi e gli svantaggi dell’outsourcing.

Come vantaggi sicuramente la capacità di scalare le risorse in base alle esigenze. Si pagano le risorse solo quando c’è effettivamente bisogno. Inoltre, potendo ogni volta scegliere il professionista di turno, si ha sempre la possibilità di trovare la persona giusta in base al budget a disposizione. In un unico concetto direi che l’outsourcing, se gestito bene, abbatte i costi di produzione e rende la struttura dell’organico snella e agile. Oggi siamo in 3, domani in 6, tra una settimana torniamo in 3.

Come svantaggi, secondo me, il più dannoso è l’impossibilità di costruire un know-how solido all’interno della startup. Affidarsi tutte le volte a persone nuove ed esterne, vuol dire investire in una risorsa che produce qualcosa ma che non apporta conoscenza all’interno del team. Inoltre, tutte le volte bisogna sperare di trovare la persona giusta, il professionista valido, che non fa perdere tempo e denaro.
C’è anche un altro aspetto, spesso sottovalutato, ovvero la lingua. Con piattaforme come odesk, ad esempio, è possibile contattare persone da tutto il mondo. Oggi capita il cinese, domani il bulgaro, poi il turco e poi il russo. Purtroppo, non tutti conoscono bene l’inglese e questo problema, spesso, è una barriera.

Per concludere, credo che l’outsourcing, se usato bene, sia un ottimo sistema per portare avanti la startup sostenendo costi adeguati.

Il mio consiglio è di affidare all’outsourcing sempre parti NON importanti del proprio progetto. Mai far sviluppare pezzi di codice core, va bene per componenti periferiche. Per tutto il resto, se non si ha nessuno nel team, allora potete affidare all’outsourcing un pò tutto. Dalla grafica, al marketing, all’usabilità, al SEO.

Ciao,
Stefano
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