domenica 20 novembre 2011

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Steve Jobs, uno di noi!

Poco meno di un mese fa, Carlo e Ludovico mi hanno regalato il libro sulla biografia di Steve Jobs e, purtroppo, non avendo molto tempo libero per leggerlo, sono arrivato solo al quarto capitolo.

Non so ancora come saranno i capitoli successivi, ma i primi quattro sono stati formidabili per due motivi:

1.    Raccontano la storia della Silicon Valley, come è nata e come si è evoluta (la storia vera, non quella in cui molti credono, ovvero che la SV sia sempre stata lì e che si sia creata dal nulla!);
2.    Raccontano Steve Jobs uomo e non ancora mito.

Le persone che mi conoscono da una vita, sanno bene che io non sono di quelli che si crea miti ogni giorno e che punta ad emulare qualcuno, anzi..è l’esatto contrario. Devo ammettere, però, che Steve Jobs, soprattutto negli ultimi 5 anni, è stato l’unico che mi ha fatto pensare ed esclamare più volte: “Cazzo, che mito!”.

A quanti di voi è capitata la stessa cosa pensando a lui o guardando uno dei suoi fantastici lanci di prodotto?

Fino a prima di iniziare a leggere il libro, per me, Steve Jobs era una entità superiore. PUNTO. Senza se e senza ma. Quasi come la Silicon Valley, esiste e sta lì da oltre 50 anni.
Sia l’uno che l’altro sono come due dogmi, esistono e basta.

Personalmente, però, non mi ero mai chiesto seriamente come avesse fatto Jobs a diventare un mito per milioni di persone in tutto il mondo. Io l’ho conosciuto già mito e negli anni ho portato avanti la sua immagine di simbolo senza mai mettere in dubbio il suo lato “umano”.
Grazie al libro, finalmente, con mio immenso piacere, ho capito che anche lui, anche il mito Steve Jobs era uomo ancor prima che simbolo.

Questa presa di coscienza potrà sembrare banale per molti di voi, ma a me ha cambiato di molto le cose.

Leggendo il libro, ho realizzato che Steve Jobs era uno di noi!

Anche lui, come tanti di noi, ha iniziato partendo dal nulla e, alla fine, ha creato un impero chiamato Apple (..noi speriamo di fare lo stesso).
Lui ha dovuto affrontare gli stessi problemi che dobbiamo superare anche noi oggi. Ha dovuto mettere su il team con il suo amico (altro uomo mitologico) Steve Wozniak e non senza problemi. Anche loro hanno rispettato la regola d’oro: nel team ci deve essere chi sviluppa e chi vende.
Anche loro hanno discusso, hanno litigato, hanno commesso tanti errori..eppure..sono riusciti a diventare l’Apple.

Vogliamo parlare dei sacrifici che hanno dovuto fare per portare avanti il loro progetto?
Hanno lavorato di giorno e di notte, con doppio lavoro, e hanno dovuto vendere cose a loro care.

Quanti di voi si possono rispecchiare in queste situazioni?

Una delle cose che più mi ha rincuorato è che molti investitori hanno detto “NO a Steve Jobs!”.
Ma ci pensate?
Non hanno creduto nel progetto di due giovani trasandati la cui azienda si chiamava Apple.

Esattamente come tanti di noi che oggi si sentono dire NO da un investitore.

Sapete questo cosa dimostra, a mio parere? Che gli investitori, incapaci (di vedere oltre), sono sempre esistiti!
Non è solo una caratteristica di alcuni investitori di oggi, è la storia che si ripete..diceva Vico.

All’inizio, quando avevano bisogno di soldi, Jobs andò a chiedere finanziamenti ovunque. Spesso veniva giudicato solo dall’apparenza trasandata, altre volte, invece, incontrava gente boriosa e troppo sicura della propria ignoranza che sentenziava sulla sua idea definendola senza potenziale e troppo rischiosa. Proprio come accade anche oggi.

Cazzo ragazzi, si parlava dell’Apple!

Certo, molti di voi penseranno che all’epoca era solo una idea presentata da due giovani hippies e nessuno avrebbe mai potuto sapere che sarebbe diventata la grande mela.
Questo è verissimo, ma, a mio giudizio, questo è il limite che divide un Investitore che sa fare il suo mestiere e chi, invece, vuole giocare a fare l’investitore.

Per nostra fortuna, Jobs incontrò persone in grado di guardare oltre e che investirono i primi dollari nel suo progetto. Negli anni a seguire, come anche oggi, grazie anche a quegli Investitori, noi tutti, compresi gli altri investitori, possiamo godere delle meraviglie create dall’Apple.

Ci pensate come potrebbe essere oggi se Steve Jobs non avesse mai incontrato quelle persone? Se tutti gli avessero chiuso le porte e se non avesse mai trovato qualcuno che ha avuto il coraggio di credere in lui?

Un altro aspetto importante che mi ha colpito è che Steve Jobs non è nato “imparato”!
Anche lui, all’inizio, non sapeva niente su come si facesse una azienda, su come bisognasse portare avanti le cose e non sapeva scrivere neanche la documentazione necessaria!
Imparò tutto da altre persone più esperte come Mike Markkula.

Per concludere, ricordate che anche Steve Jobs, si proprio lui, ha dovuto iniziare da zero.
Anche lui ha dovuto stringere i denti all’inizio, anche lui ha dovuto combattere per dimostrare che la sua idea imprenditoriale era vincente, anche lui ha incontrato investitori che gli hanno chiuso le porte in faccia, anche lui ha commesso tanti errori, anche lui ha dovuto imparare strada facendo.

Certo, sia Jobs che Wozniak erano dei talenti, inutile far finta che non fossero persone uniche, ma, anche loro, sono stati degli startupper!


Never give up!
Stefano Passatordi

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giovedì 27 ottobre 2011

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[OT] Searcheeze apre la beta pubblica e mette in palio nuovissimi iPhone 4S

Il mio ultimo post risale ai primi di Luglio, ovvero più di due mesi e mezzo fa. Una "assenza" di cui mi avete chiesto in tanti, grazie :)

Adesso veniamo a noi...il motivo della mia assenza è stato Searcheeze.

Non so a quanti di voi capiti, ma io mi sento completamente ossessionato da quello che sto facendo e lo dico in senso posivito. Io vivo per il mio progetto, vivo per portare a compimento un sogno, vivo per rendere reale un qualcosa che ho in mente da tempo. Mi sveglio la mattina e la prima cosa a cui penso è come migliorare, cosa devo fare per rendere Searcheeze un "must have" product. Quando vado a letto la sera, mi domando sempe se nella giornata ho commesso degli errori, se potevo fare meglio e potevo dare di più. E' forse pazzia?..non lo so, ma credo che essere innamorati del proprio sogno e del proprio progetto sia una fortuna. Lavori meglio, lavori di più e lavori per te!
Per questo non ho avuto tempo per scrivere nuovi post, ero impegnato..con il mio amore: Searcheeze.

Per fortuna, in questa straordinaria avventura, non sono solo. Sono affiancato da ragazzi in gamba, da ragazzi che non si trovano facilmente in giro, da persone serie e grandi lavoratori: Flavio Gambardella, Carlo Mallone e Ludovico Grossi.
E' con loro che in questi mesi abbiamo lavorato duramente per rendere Searcheeze un prodotto e ancora lavoreremo tanto per renderlo "the product". Vogliamo arrivare a renderlo verbo: "Searcheeze it!".

Oggi, dopo mesi di lavoro, siamo felici di annunciare che Searcheeze apre al pubblico e entra ufficialmente in beta pubblica. Inoltre, finalmente, dopo mesi di test e ricerche, abbiamo trovato la nostra strada, quella che ci porta dritti dagli utenti che pagano. In fondo, non ci dimentichiamo mai che fare startup è bello, ma l'obiettivo finale è sempre lo stesso: monetizzare.

A tutti quelli che ci chiedono: "Ma voi che fate? Che fa Searcheeze?"

Noi rispondiamo: "Searcheeze è la prima piattaforma per la collaborative content curation."
Lo dico in inglese, perchè, purtroppo, in italiano la traduzione letterale non è esaltante: cura dei contenuti collaborativa (è "cura" che non mi suona :).

Per poter capire a cosa serva e quanto sia utile Searcheeze, bisogna prima comprendere il fenomeno della content curation.

I contenuti presenti in Internet sono innumerevoli e sparsi su oltre 25 Miliardi di pagine web. L’enorme problema è che l’informazione è frammentata e distribuita su vari siti e gli strumenti attuali non soddisfano più le esigenze degli utenti che richiedono sempre più contenuti di valore in sempre meno tempo.

La gestione e organizzazione dei contenuti è diventata la sfida del nuovo web: la “content curation” (cura dei contenuti) è il processo volto a far emergere i migliori contenuti circa un determinato topic (argomento).

Il processo di cura dei contenuti è composto da tre fasi: filtraggio dei contenuti migliori, cura (ovvero organizzazione e contestualizzazione) degli stessi, pubblicazione del lavoro finale a favore degli altri utenti.

Searcheeze vuole diventare la principale applicazione per la content curation, offrendo una piattaforma completa per il content curator che vuole rendere facilmente fruibili agli altri utenti i contenuti di loro interesse, aspirando a diventare un punto di riferimento per la community che è interessata al topic stesso.

Per adesso, mi fermo qui. Nei prossimi mesi introdurremo nuove importanti funzionalità e vedrete come Searcheeze potrà essere utilizzato per fare personal e professional branding, sfruttando la content curation.

In occasione del lancio della beta pubblica, il team di Searcheeze ha indetto un concorso e ha messo in palio vari premi, tra cui anche nuovissimi iPhone 4S.



Vincere è molto semplice:
1. registrati
2. cura un topic a scelta nell'ambito Tech e Social Media (ovvero: scegli un argomento da trattare, poi usando la nostra bookmarklet raccogli contenuti interessanti circa quell'argomento e pubblica il tutto sotto forma di magazine. Potrai partecipare e curare il topic scelto da solo oppure con altre due persone.)
3. fallo diffondere.

Ti aspettiamo su Searcheeze, non te ne pentirai!
Seguici su Twitter e Facebook.

Grazie,
Stefano, Flavio, Carlo e Ludovico

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lunedì 11 luglio 2011

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Ecco come si converte una convertible note

Tempo fa abbiamo visto cosa sono le convertible note e come funzionano.

Ormai già da qualche anno sono diventate lo standard per investire in fase seed e, per quello che ho potuto constatare di persona, anche in Italia (finalmente) vengono utilizzate per finanziare le startup early stage.

Adesso la domanda è: Che cosa succede alla cap table della società quando una note viene convertita?

Per spiegarvelo, prenderò un caso facile di una startup che si chiama Startappa (copyright Francesco Sullo :) e di un investitore che si chiama Tedoisordi.

Startappa ha due soli founders, Marco e Paola, ognuno con il 50% della società che ha un totale di 100.000 azioni.

Quindi la cap table sarà:

- Marco: 50.000 shares (50%)
- Paola: 50.000 shares (50%)

Marco e Paola firmano con Tedoisordi una note del valore di $100.000. Molto semplice, senza interessi, nè cap massimo e nè clausole strane.

L’unica clausola da considerare per i nostri calcoli è lo sconto sull’acquisto delle nuove azione in caso di series A. Ipotizziamo che la note dica che se la valutazione pre-money sarà al max. $2M allora Tedoisordi converte i $100k al 100% del prezzo delle shares. Se la valutazione supera $2M, Tedoisordi acquista le shares con uno sconto pari al 30% del prezzo delle stesse.
In pratica, pagherà le nuove shares il 70% del valore di partenza.

Adesso, vediamo con i numeri cosa vuole dire il precedente paragrafo.

Ipotizziamo che arrivi un grosso investitore che si chiama Motecompro e che decida di investire $1.5M in Startappa.

1. I founder devono trovare una valutazione alla startup. Vediamo il primo caso, in cui la valutazione pre-money sia uguale a $2M.

2. Adesso bisogna calcolare il prezzo delle shares. Per farlo basta dividere la valutazione pre-money per il numero di shares presenti in quel momento nella società. Ovvero: 2M/100k = 20. Il prezzo per share sarà quindi di $20.

3. Adesso calcoliamo quante azioni devono essere emesse in aumento di capitale per far entrare l’investitore con $1.5M. Quindi: $1.5M/$20 = 75.000 nuove shares.

4. Adesso calcoliamo quante azioni devono essere emesse per la conversione della note. Siccome la pre-money è minore/uguale a $2M, la conversione avviene al 100% del prezzo della share. Quindi: $100k/$20 = 5k.

Alla fine nella società ci sarà un totale di 100k + 75k + 5k= 180k shares.

Al termine dell’investimento la nuova cap table sarà:

- Marco: 50.000 shares (~28%, $1M)
- Paola: 50.000 shares (~28%, $1M)
- Tedoisordi: 5.000 shares (~2%, $100k)
- Motecompro: 75.000 shares (~42%, $1.5M)

Il valore post-money finale sarà di $3.6M.

Adesso, vediamo cosa succede nel caso in cui la valutazione pre-money superi i $2M.

Ipotizziamo che la pre-money sia di $3M.

Come primo effetto, varia il prezzo per share: $3M/$100k = $30.

Quindi, Motecompro con lo stesso investimento potrà prendere meno shares: $1.5M/$30 = 50k shares.

Tedoisordi, invece, applica lo sconto sul prezzo di acquisto delle shares e subirà una diluzione inferiore. Il prezzo per lui sarà di: $21, ovvero il 70% di $30.
Con questo prezzo potrà prendere: $100k/$21 = ~ 4.762 shares.

Il totale complessivo delle shares sarà quindi: 100k + 50k + 4.762 = 154.762 shares.

La nuova cap table sarà:

- Marco: 50.000 shares (~32%, $1.5M)
- Paola: 50.000 shares (~32%, $1.5M)
- Tedoisordi: 4.762 shares (~3%, $143k)
- Motecompro: 50.000 shares (~32%, $1.5M)

(Le percentuali sommate fanno 99% per motivi di arrotondamenti)

Il valore post-money finale sarà di $4.643.000.

Non notate nulla di strano?...Tedoisordi ha investito $100k, ma risulta con $43k in più.

Questo è l’effetto dello sconto sull’acquisto delle shares :) Investe una somma e si ritrova a possedere più quote rispetto a quello che normalmente dovrebbe avere. Ecco il vero vantaggio di chi investe con le note.

In pratica, una valutazione maggiore va a vantaggio sia dei founder che dell’investitore che ha investito con la note, perchè può applicare lo sconto e prendere, in proporzione, una maggiore quota della società.

Ovviamente questo è il caso base, utile per spiegare il meccasino della conversione di una note.

In genere, bisogna considerare gli interessi accumulati con la note (basta sommare alla somma investita con la note anche gli interessi accumulati) e il pacchetto delle option pool (vanno inserite nel calcolo del price per share e contribuiscono ad abbassare il valore a vantaggio degli investitori). Ci sono anche altre clausole che possono complicare i calcoli, come la "warrant coverage", una specie di stock option legata alla note (trovate maggiori dettagli nel precedente post sulle note).

Spero di non aver commesso nè errori di logica e nè errori di calcolo, in caso contrario fatemi sapere così posso modificare.

Buona conversione a tutti!
Stefano Passatordi
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martedì 5 luglio 2011

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[Mezzo OT]Frullato maxi: Ringrazimenti, Barcellona e San Francisco!

Ciao a tutti ragazzi!

Prima di tutto vi chiedo perdono se ultimamente non riesco più a scrivere sul blog come ho fatto nei mesi passati. Il pivot da Ibrii a Searcheeze è stato pesante e lungo, ma adesso sembra che tutto vada per il meglio…

Inoltre, volevo ringraziare le numerose persone che durante la finale a Roma dell’InnovAction Lab mi hanno fermato per farmi i complimenti per il blog e per chiedermi nuovi post. In particolare, 3 ragazzi, di 3 diverse startup, che mi hanno confessato di aver deciso di fondare una startup leggendo il mio blog.

Questa è la soddisfazione più grande a cui io possa mai aspirare con questo blog. Grazie di cuore a tutti!

Adesso vi vorrei aggiornare velocemente su quello che sta succedendo con Searcheeze.

Tutto sta accadendo alla velocità della luce, forse troppo in fretta…ma noi siamo di ferro!

Dal lancio della beta chiusa, un mese fa ormai, abbiamo raccolto migliaia di email per gli inviti, provenienti da tutto il mondo ☺

Siamo stati finalisti al BizBarcelona a giugno ed è andato tutto molto bene: ho parlato con VCs americani ed europei e raccolto feedback importantissimo. Giudizio super positivo!

Ho anche avuto l’onore di poter parlare con Steve Blank (prima foto) e Randy Komisar (seconda foto).





(nella seconda foto anche Alessio Rocchi, fotografo il CTO Flavio Gambardella)

Ma non finisce qui…Solo poche ore fa siamo stati avvisati che Searcheeze è finalista all’European Demo Day a San Francisco il prossimo 21 luglio!!!

Oltre 100 startup europee hanno applicato, ma solo 10 sono state scelte per presentare avanti i più importanti investitori US. Eh si ragazzi! Searcheeze è tra le 10 finaliste!

Un gran successo per noi, considerando il fatto che siamo ancora in beta chiusa e siamo già arrivati in finale a due eventi di portata mondiale il primo ed europea il secondo.

Qualche mese fa, sia Augusto Coppola che Fabrizio Capobianco mi dissero che quello che stavo facendo poteva diventare davvero “the next big thing”.
Uscimmo da un ristorante e scherzando ci siamo detti: “facciamo la nuova Google!”.

Unire il tema della search e quello della collaboration, almeno fino ad ora, sembra essere stata una buona intuizione e sta portando i suoi frutti ☺

Noi ce la stiamo mettendo tutta!

Incrociamo le dita e via..si vola ancora verso San Francisco!

Seguiteci su Twitter, Facebook e sul blog.

Grazie a tutti!
Stefano Passatordi
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mercoledì 25 maggio 2011

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Startup tecniche e non-tecniche

Più volte ho detto e scritto che, secondo me, il team è più importante dell’idea. Inoltre, ho sempre affermato anche che il team necessita di tecnici per poter avviare la startup in economia.

Oggi, in questo post, confermo tutto: il team viene prima dell’idea e avere tecnici tra i founder è un valore aggiunto.

Non posso, però, non soffermarmi sul fatto che, in Italia, buona parte delle startup che ho avuto modo di conoscere direttamente e non, ha un team di “non-tecnici”.

Ovvero, tra i founder ci sono economisti, avvocati, esperti di marketing, figure social e chi più ne ha più ne metta. Aprendo la pagina team di queste startup, si leggono sigle di ogni tipo: CEO, CFO, CMO, COO, CCD, CCC, CIA’CIA’…insomma, c’è proprio tutto ma non si vedono tecnici!

La prima cosa che mi viene in mente quando incontro startup di questo tipo è: “ma chi ha sviluppato il prodotto??”

Allora penso che, forse, gli gnomi del bosco magico esistono e sanno anche sviluppare.

Di questo tipo di startup, in Italia (sicuramente anche all’estero) ne esistono tante e, spesso, vanno anche molto bene. Più di quelle tecniche.

Ma allora, esiste o meno un modello ideale di startup??E’ vero che a parità di idea, una startup tecnica è più efficiente di una non-tecnica?

Questa è la domanda che da qualche tempo mi frulla per la testa. Proviamo a capirci di più.

Prima di tutto, personalmente, divido le startup in due categorie principali: tecniche e non-tecniche.

Quale sia la principale differenza dovrebbe essere chiaro, le startup tecniche hanno tra i founder dei tecnici che concretamente sviluppano il prodotto. Le startup non-tecniche hanno tra i founder tutte le figure possibili e immaginabili, ma nessun tecnico.

Tipicamente le startup tecniche sono composte da 2 a 4 persone. Spesso tutti nerd che sviluppano. Questa tipologia di startup, la conosco abbastanza bene.

L’altra tipologia, quella “non-tecnica”, è un mondo sconosciuto per me e mi piacerebbe capirci di più.

Parlando con qualche startup di questo tipo ho intuito che il loro iter è più o meno il seguente:

1. individuata l’idea/prodotto vengono ingaggiati in outsourcing dei tecnici per sviluppare il prodotto. In base allo stato della cassa, ricorrono a studenti universitari, freelancer, piattaforme crowd o amici di amici.

2. mentre il prodotto viene sviluppato, i founder già si occupano di promuoverlo e di venderlo. Prima ancora di averlo terminato. Spesso li trovi presenti a tutte le conferenze, tutti gli eventi, girano l’Italia e il mondo per promuovere la loro idea. TUTTI, non uno o due, ma TUTTI. (questa osservazione è detta con un pizzico di invidia…anche a me piacerebbe…)

3. a prodotto finito, tipicamente sono bravissimi nella fase di lancio e continuano più di prima a promuovere e vendere il loro servizio e chiudere accordi.

Sono, quindi, due modi completamente diversi di vivere l’esperienza startup.

Da un lato si punta molto sul prodotto, dall’altro si punta sul saper vendere il prodotto.
Ognuno, giustamente, gioca le proprie carte..

Provando ad analizzare pro e contro delle due tipologie:

- Pro:

Tecniche: sviluppando direttamente il prodotto si ha un punto di vista privilegiato. Generalmente i prodotti sono più solidi e più curati. Il know-how rimane interno alla startup. Tipicamente lo sviluppo costa meno. Possibile puntare su barriere all’ingresso di tipo tecnico e di ricerca.

Non-tecniche: prima ancora di essere realizzato, il prodotto è già sul mercato. Tempi di realizzazione mediamente inferiori perchè non c’è la cura maniacale dei dettagli. Maggiore capacità di valutare il mercato e le opportunità.

- Con:

Tecniche: maggiore difficoltà nel promuovere/vendere la propria idea. Maggiori tempi di sviluppo, spesso si perde il focus: da tecnici la voglia di aggiungere 1000 funzionalità è sempre tanta.

Non-tecniche: il know-how non è un asset interno, soprattutto se lo sviluppo viene affidato a piattaforme crowd. Molto difficile creare barriere all’ingresso di tipo tecnico.

Ovviamente questi non sono tutti i pro e i contro, ma solo i principali secondo il mio punto di vista.

Provando a tirare le somme, entrambe le tipologie sono assolutamente valide. Quale scegliere dipende solo dalle attitudini del team.

Alla fine, mi viene in mente una famosa frase de “Le Satire” di Orazio: “Est modus in rebus”. Sarebbe l’ideale avere un team composto da tecnici che sviluppano e da non-tecnici che promuovo, vendono e organizzano.

Sembra banale…ma non lo è!

Buona startup a tutti!
Stefano Passatordi
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giovedì 19 maggio 2011

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Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa: Questionario per startup


Qualche giorno fa, un gruppo di ricercatori della Sant'Anna di Pisa mi ha contattato circa un questionario che vorrebbero sottoporre alle startup italiane per capire quali sono i problemi attuali e quali le possibili soluzioni.

Il questionario si compila in pochissimi minuti e credo che sia una ottima occasione per raccontare i "problemi" di noi startuppari :)

Spero che in tanti risponderete al questionario.

Ricordate che il cambiamento inizia proprio da noi!

"Siamo degli studenti della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, stiamo svolgendo attività di ricerca su startup, spin-off e PMI technology based al fine di capire quali siano i principali bisogni/necessità di queste realtà aziendali.
Il questionario richiede solo pochi minuti.
La ringraziamo per la disponibilità.

Studenti Master MAINS"

Link: inizia il questionario

Grazie a tutti,
Stefano Passatordi

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mercoledì 27 aprile 2011

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Una storia di successo tutta italiana: Nerio Alessandri, fondatore di Technogym

Grazie a Zeno Tomiolo, che ha fatto da gancio, oggi vi propongo l'intervista a Nerio Alessandri, fondatore e Presidente di Technogym.

1) Salve Nerio, anche se in Italia lei è già conosciuto ed affermato come imprenditore di successo, vuole presentarsi e dirci chi è ?

Sono un designer appassionato di wellness e di innovazione. Nel 1983, a 22 anni, ho fondato Technogym; oggi Technogym è leader mondiale nel settore del wellness ed impiega circa 2000 collaboratori, nelle sue 13 filiali in Europa, Stati Uniti, Asia, Medio Oriente, Australia e Sud America. I nostri prodotti sono presenti in circa 100 paesi e stimiamo che 20 milioni di persone tutti i giorni li utilizzino in 50.000 installazioni presso palestre, hotels, aziende e case private.

2) Potrebbe raccontarci qualcosa in più circa il suo inizio quando, per la prima volta, lei si è affacciato al mondo startup/imprenditoriale?

A 22 anni mi occupavo di industrial designer in un’azienda della mia città a Cesena ma avevo un sogno, quello di diventare imprenditore. Come molti ragazzi amavo lo sport e l’attività fisica. L’intuizione di Technogym nasce dalla combinazione fra la passione per lo sport e le mie competenze di designer. Tutto è iniziato come hobby durante i fine settimana per poi trasformarsi in un impegno a tempo pieno; ma devo dire che ancora oggi lo vivo come un hobby e forse questa è la chiave dell’entusiasmo che riesco a vivere ogni giorno per quello che faccio.

3) Può raccontarci, brevemente, la storia di Technogym? Da startup a colosso mondiale.


All’inizio degli anni 80, nella provincia italiana, la tecnologia in palestra difficilmente andava oltre rudimentali manubri, panche e bilancieri. Frequentando una palestra a Cesena, la mia città, ho intuito che in questo mercato c’era spazio per innovare: il primo attrezzo che ho disegnato e costruito nel mio garage, dotato di una innovativa tecnologia ergonomica e servo assistita ha subito riscosso un grande successo in palestra. Ben presto altre palestre della zona mi hanno contattato e il mio iniziale hobby si è trasformato in un lavoro a tempo pieno. Ho coinvolto dapprima gli amici: un vicino di casa esperto nell’elaborazione delle moto mi ha aiutato sugli aspetti produttivi, mia cugina, giovanissima impiegata mi ha aiutato sugli aspetti amministrativi, un amico reduce da un’esperienza negli Stati Uniti mi ha aiutato sugli aspetti commerciali. L’innovazione ha sempre rappresentato il motore della nostra crescita: negli anni ’80 quando tutti parlavano di body building, noi parlavamo di fitness ed abbiamo aggiunto ai pesi sicurezza, ergonomia e design, negli anni ’90 quando tutti parlavano di fitness, Technogym ha lanciato il wellness, un vero e proprio stile di vita fatto di regolare attività fisica, sana alimentazione ed approccio mentale positivo. Se Fitness significava “look good”, wellness significa “feel good”. Il Wellness ha rappresentato una vera e propria rivoluzione che ci ha permesso di andare oltre la nicchia di sportivi attratti dal fitness ed offrire una opportunità sociale a tutti. Il nostro motto oggi è “star bene conviene”; e conviene a tutti, alle istituzioni per abbassare i costi della salute pubblica, alle aziende per investire in persone più motivate e più creative e ai cittadini per vivere meglio.

4) Quali sono state le maggiori difficoltà che ha incontrato lungo il suo percorso da giovane founder ad imprenditore di successo?

Ritengo che la sfida più difficile per un imprenditore sia costruire la squadra giusta con le persone giuste al posto giusto. Per questo in Technogym da sempre investiamo in cultura aziendale: un sistema di valori condivisi, a tutti i livelli dell’organizzazione, che permetta alle persone di sentirsi parte di un progetto e di crescere nell’ambito del team. Oggi le nostre persone, le loro competenze, la loro creatività e la loro passione rappresentano senza dubbio il patrimonio più importante per Technogym.

5) Quali gli errori più importanti che ha commesso e che potrebbe commettere un giovane startupper?

Nella vita ho commesso parecchi errori perché ho fatto tantissime cose. Penso che lo startupper, come tutti coloro che fanno, siano fisiologicamente soggetti a commettere errori. Chi fa tanto, ha più probabilità di sbagliare, ma anche più probabilità di fare la cosa giusta o trovare l’idea che mancava. Penso che l’importante sia lavorare sui propri errori e considerarli delle opportunità per imparare e ripartire.

6) Crede che rispetto a qualche anno fa, quando ha iniziato, qualcosa sia cambiato in Italia? Chi inizia oggi, è più o meno fortunato rispetto a prima?

Ogni momento storico è caratterizzato da difficoltà ed opportunità. Di sicuro nei primi anni 80 quando ho avviato l’avventura di Technogym il mercato dei beni strumentali offriva un potenziale di sviluppo maggiore rispetto ad oggi. Ma allo stesso tempo, oggi internet e l’economia digitale offrono molte opportunità che all’epoca non esistevano. L’importante è credere nei propri sogni e perseguirli con passione e costanza.

7) Se lei ne avesse il potere, cosa cambierebbe in Italia per agevolare e stimolare i giovani imprenditori?

E’ necessario prima di tutto investire in formazione ed in ricerca per offrire ai nostri giovani le stesse possibilità culturali e di sviluppo personale dei loro coetanei e “concorrenti” che studiano negli altri paesi. Poi ritengo necessario che il sistema bancario sia più vicino al mondo dell’impresa ed al mondo delle idee di modo da agevolare e finanziare i progetti più interessanti e meritevoli che poi diventano patrimonio di tutto il nostro tessuto economico.

8) Quali sono i consigli che si sente di dare ai giovani che oggi decidono di fondare una startup?

Umilità, sapere ascoltare, essere curiosi e saper mettersi in discussione senza crogiolarsi nelle proprie certezze. Approccio positivo: vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto, concentrarsi nella ricerca delle opportunità e non nell’analisi delle difficoltà.


Ringrazio il fondatore di Technogym, Nerio Alessandri, sia per aver risposto alle mie domande..ma, soprattutto, perchè è anche grazie al suo genio imprenditoriale se oggi noi tutti possiamo andare nelle palestre ad allenarci!



Grazie,
Stefano Passatordi
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lunedì 18 aprile 2011

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[OT] Ibrii si evolve, nasce: Searcheeze


Erano mesi che volevo scrivere questo post ☺

Finalmente, dopo mesi di lavoro, di attese, di incertezze, di contrattazioni e di svariati ed innumerevoli imprevisti e problemi, posso ufficialmente annunciare che Ibrii si evolve e diventa Searcheeze! (si legge searchisi)

Andiamo per gradi e ripartiamo da quasi un anno fa, Maggio 2010. A metà maggio del 2010, pubblichiamo la nuova versione di Ibrii che, nonostante i vari bug e alcuni limiti di usabilità, supera i 200.000 utenti unici al mese! Bel risultato direi, considerando che sono provenienti per il 70% dagli USA e che il prodotto è ancora in sviluppo. Poi arriva il viaggio in California, incontri importanti con Angels e bloggers influenti.
Il nuovo Ibrii piace e riceviamo una proposta concreta da alcuni Angels di Menlo Park, ci vogliono incubare nella loro struttura e conoscerci prima di investire. A questo punto sembrava fatta, ma la vita è bastarda..si sa, all’improvviso ci cadono in testa tegole enormi e siamo costretti, per forza di cose, a dover tornare in Italia e affrontare la realtà.

Per vari motivi non posso dirvi che tipo di problemi abbiamo avuto, ma ci hanno paralizzati per 6 mesi! Diciamo solo che spesso, nella vita, le cose accadono e basta.

Sei mesi di stop totale per una startup web equivalgono ad oltre un anno, in questo settore dove tutto viaggia alla velocità della luce. Perso il treno con gli investitori americani, iniziamo a perdere gli utenti, i quali, non vedendo alcun cambiamento e nessun supporto, hanno (giustamente) lasciato il nostro servizio. Scendiamo a 130.000 unici al mese.

Tutto sembrava stesse per finire, ma è proprio in questi momenti che i founder devono dare il meglio e devono restare aggrappati con i denti e con le unghie ai loro sogni e alle loro speranze.

In questi mesi in tanti mi avete chiesto di Ibrii, come mai era fermo lo sviluppo, come mai non si vedevano cambiamenti. Ogni volta per me era una coltellata al cuore, non potevo e non volevo far sapere a nessuno che la nostra creatura era in difficoltà. Forse, adesso, qualcuno capirà perché sono stato schivo e vago quando mi chiedevano di Ibrii. Non per maleducazione o altro, semplicemente mi faceva male dover ammettere a me stesso che proprio sul più bello, quando tutto andava bene, la sorte ha voluto che dovessimo arrestare la nostra corsa. C'est la vie!

A distanza di qualche mese, posso orgogliosamente affermare che Ibrii non è morto, anzi è cresciuto tantissimo, al punto tale da prendere un altro importante finanziamento e di ripartire con una sua evoluzione che si chiama Searcheeze.

Come si dice, non tutti i mali vengono per nuocere. Nei mesi di stop forzato, abbiamo deciso di riflettere a fondo sul nostro percorso per capire se stavamo percorrendo la strada giusta. Ci siamo cosparsi il capo di cenere e abbiamo chiesto ai nostri utenti e agli investitori italiani ed USA, come potevamo migliorare il nostro servizio e quale doveva essere, secondo loro, il nostro focus.

Dopo mesi di studio e analisi dei feedback, abbiamo deciso di sfruttare la tecnologia di Ibrii per qualcosa di più concreto ed importante: la ricerca collaborativa.


Searcheeze: search collaboration made easy!


Per questo abbiamo deciso il cambio del nome. E' un servizio che si basa molto sulla tecnologia di Ibrii, ma nella pratica è un qualcosa di completamente diverso. Inoltre, il nome Ibrii non è mai piaciuto troppo agli americani ☺

Grazie a Searcheeze è possibile collezionare ogni tipo di contenuto web dai risultati delle ricerche. E’ possibile farlo singolarmente o in gruppo, in maniera collaborativa. Ovviamente, l’intero lavoro potrà essere anche pubblicato sul proprio blog o sui vari account social.

Per la prima volta, grazie a Searcheeze, sarà possibile effettuare ricerche di gruppo!

Il tutto mantenendo la semplicità di utilizzo che ha sempre contraddistinto Ibrii.

Searcheeze serve a chiunque abbia l’esigenza di collezionare contenuti dal web per scopi personali e non. Per tutti i gruppi di persone che hanno bisogno di raccogliere insieme delle informazioni dal web, ad esempio: studenti, professori, giornalisti, blogger o semplicemente una famiglia che raccoglie informazioni sul luogo della prossima vacanza o un gruppo di amici che collezionano idee regalo per un amico o un gruppo di amiche che colleziona dal web i prossimi vestiti da comprare per l’estate.

Insomma, alzi la mano chi non ha mai avuto bisogno di collezionare delle informazioni dal web!
Da oggi, grazie a Searcheeze, potrete farlo anche in gruppo!

Searcheeze sarà gratis per tutti, ma per funzionalità avanzate e per il mondo business sarà a pagamento.

Per adesso, mi fermo qui.

In un prossimo post ulteriori dettagli circa il nuovo team di Searcheeze e le altre novità!

Vi lascio con una riflessione: se avessi mollato nei momenti difficili, adesso non sarei qui a scrivervi. Non lasciate che niente e nessuna possa portarvi via i sogni.


Registratevi qui: searcheeze.com
Seguiteci su: Twitter e Facebook. (i profili sono ancora scarni, scusate ma stiamo lavorando come matti!)


A presto,

Stefano Passatordi
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giovedì 14 aprile 2011

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Scegliere un investitore

La maggior parte delle startup non ha i fondi necessari per portare a termine il proprio percorso fino ad una exit. Per questo motivo, fin dai primi mesi, i founder si mettono alla ricerca di capitali.

Spesso provengono da famiglia o amici, meno spesso da Angels e piccoli fondi, raramente da grossi investitori.
In genere, famiglia ed amici prestano solo del denaro, sperando che un giorno potranno riaverlo, magari con qualche piacevole sorpresa.

Angels e VCs, invece, oltre ai soldi, possono mettere sulla bilancia anche tanto altro: esperienza, contatti e consigli.

Premesso che, secondo me, non esiste l’investitore ideale, vediamo quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere un Angel/VC per apportare il massimo valore all’interno di una startup.

L’investitore ideale:

- investe in voi e nella vostra startup!
- è o è stato un imprenditore di successo
- è un esperto del vostro settore
- è pieno di contatti e referenze utilissime per voi e per la vostra startup
- investe tramite convertible note con condizioni ragionevoli
- fa passare al massimo 1 mese dal primo incontro al bonifico
- è voglioso di trasmettervi la sua esperienza e la sua energia
- è sempre presente quando ne avete bisogno
- non è invadente perchè ha capito che il micro management è una pratica da lasciare al CEO
- capisce i vostri difetti ed i vostri pregi e cerca sempre di trarre il meglio da voi
- vi supporta sempre e comunque
- vi introduce potenziali investitori e partner
- è un pò come un faro nei momenti bui e difficili
- diventa un vostro amico
- riesce a farvi capire dove state sbagliando e a rimettervi sul giusto binario
- critica in maniera costruttiva
- continua a finanziarvi finchè ci sono i presupposti per andare avanti

In breve, immagino l’investitore ideale come: "Un amico, un consigliere, che si fida di me e mi aiuta a realizzare un sogno. Sempre rispettoso e sempre presente, senza mai essere invadente."

Per tanti motivi, è difficile, forse impossibile, incontrare l’investitore ideale.

E’ possibile, però, scegliere quello che più si avvicina al caso ideale, in base alle proprie esigenze da startup.

Non valutare mai un investitore solo per la quantità di denaro che investe!


Bisogna sempre valutare anche la sua esperienza, i suoi contatti e il rapporto personale che si instaura. Meglio un investitore che vi da 100 ma vi riempie di giusti consigli e vi apre tutte le porte, piuttosto che uno che investe 1000 e poi è inutile.

Ad esempio, conosco dPixel dal 2009 e con loro ho chiuso 2 finanziamenti. Non sono stati l’investitore perfetto, come noi non siamo stati la startup perfetta, ma hanno sempre fatto del loro meglio per aiutarmi in tutto e per tutto. Abbiamo creato un rapporto di rispetto e di fiducia che, nel tempo, ha portato e sta portando i suoi frutti.

Quando, nel 2009, io ed il mio socio, abbiamo dovuto affrontare la scelta se firmare o meno con dPixel, non abbiamo solo valutato il fattore economico. Abbiamo studiato chi fossero i fondatori, cercando di scroprire le loro esperienze e quanto fossero importanti ed influenti.

Insomma, non è sempre e solo una questione di denaro, il valore aggiunto che deve portare un investitore si deve misurare anche in esperienza, contatti e consigli.

Buona scelta a tutti!

Stefano Passatordi
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domenica 20 marzo 2011

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La mission e la vision: due punti di riferimento da non perdere

Più volte abbiamo detto che alla base di una startup troviamo due importanti fattori: team ed idea.

Sono ovviamente strettamente collegati tra loro e spesso non si capisce se è l’idea che guida il team oppure il contrario.

Premesso che tra i due, secondo me, il team è più importante dell’idea, è pur vero che esiste una relazione a doppio senso tra i due.

Dal mio punto di vista, possiamo vedere un doppio collegamento che si concretizza nei concetti di: mission e vision.

Ricordo che due delle prime domande che ci fecero quando andammo a parlare da dPixel furono proprio la nostra mission e la nostra vision.

In poche parole:

Mission: racconta lo scopo per cui nasce la startup, il suo fine ultimo. In genere deve spiegare chi siete, cosa volete fare e perchè.
Il più delle volte la mission è una frase, ad esempio, la nostra primissima missione era: “Ibrii’s mission is to promote the discovering and sharing of contents over the web and to make them accessible to everyone, everywhere.”

Ad esempio, quella di Walt Disney è: “To make people happy” mentre quella di McDonald’s è: “To leverage the unique talents, strengths and assets of our diversity in order to be the World's best quick service restaurant experience."

Vision: racconta dove arriverà la startup nel futuro prossimo. Quindi riguarda il futuro e serve a far capire dove si vuole arrivare nel tempo, quanto grandi ed importanti si vuole diventare. Spesso la vision contiene frasi di impatto, facili da ricordare e di effetto.
La nostra vision iniziale era: “Our vision is to become the most used annotation and sharing tool for internet users, especially for social networks and mobile users.”

Ad esempio, la Nokia nel 2005 ha dichiarato che la sua nuova vision è: “Life goes Mobile”.

Sia mission che vision hanno un duplice compito, da una parte spiegano al mondo cosa stiamo offrendo e dove vogliamo arrivare, ma dall’altro lato devono essere la guida del team durante il percorso.

Spesso ho letto di startup fallite perchè non hanno avuto la loro mission chiara o perchè si sono allontanati troppo dalla vision iniziale. In pratica, ogni team deve avere ben chiaro in mente sia mission che vision ed affrontare le scelte che si susseguono durante la vita della startup sempre avendo ben chiaro cosa offrono e dove vogliono arrivare.

Per capirci, ogni volta che si presenta una scelta importante, come ad esempio: aggiungere o rimuovere funzionalità, partnership, grafica del servizio, ecc. la vostra bussola deve essere la mission e la vision deve essere lo strumento di conferma di una scelta piuttosto che un’altra.

Ogni volta vi dovete domandare: aggiungere una funzionalità X è utile per il servizio che sto offrendo (mission)? Mi aiuterà a raggiungere la mia vision?
Se la risposta è NO, molto probabilmente quella funzionalità non va implementata, sarebbe una inutile perdita di tempo…

Ad esempio, nella primissima versione di Ibrii, i nostri utenti avevano la possibilità di condividere una nota privata con altri utenti e tutti potevano modificarne il contenuto. Questo era un chiaro problema di concorrenza non facile da gestire e che ci avrebbe portato via tanto tempo per risolverlo. Quindi, abbiamo fatto appello alla nostra mission e ci siamo resi conto che da nessuna parte avevamo parlato di condivisione concorrente.

Per questo abbiamo deciso di eliminare del tutto quella funzionalità nelle versioni successive. Il tempo che avremmo perso per implementare una funzionalità inutile ai nostri scopi, lo abbiamo investito per funzionalità richieste direttamente dagli utenti.

Per concludere, sia mission che vision spesso sono sottovalutate dai team e vengono visti come qualcosa di poco concreto da raccontare solo durante il pitch…grave errore, grandi idee sono fallite perchè non sono stati seguiti con coerenza il percorso e gli obiettivi iniziali.

Ovviamente, se durante il percorso l’idea cambia…molto probabilmente cambieranno anche mission e vision.

Una buona mission ed una vision ambiziosa sono due dei punti di partenza per una startup di successo….l’importante è non perdersi e perseguirle fino alla fine.

Buona settimana a tutti,
Stefano Passatordi
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mercoledì 16 marzo 2011

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AngelList: il social network per investitori e startup

Da oltre un anno, AngelList fa parlare di sè in tutto il mondo.

Per la prima volta, investitori e startup di ogni dove hanno l'opportunità di mettersi in contatto senza grandi sforzi.

Bastano un computer ed una connessione internet per poter registrarsi ed accedere al social network mondiale dedicato a grandi VCs, importanti ed aspiranti Angels e promettenti e speranzose startup.

In poco più di 12 mesi, AngelList conta centinaia di investitori e migliaia di startup registrate. Diventa sempre più un punto di riferimento e di partenza per iniziare il fundraising.

Ieri, su Tech Fanpage, è stato pubblicato un mio post circa AngelList: come è nato e perchè, come funziona e che impatto sta avendo nel mondo degli investitori.

Buona lettura,
Stefano Passatordi
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venerdì 11 marzo 2011

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EnLabs: una occasione da non perdere


Sicuramente tanti di voi avranno già sentito o letto di EnLabs, un incubatore per startup a Roma e basato sul modello di YCombinator.

Luigi Capello, fondatore di EnLabs, sta offrendo una ghiotta opportunità per tutte le startup in fase di formazione. Il programma di incubazione prevede un investimento di 50k euro di cui 16k-20k euro in cash ed il resto in servizi di mentoring e spazio di lavoro.

La quota richiesta in cambio è del 15%, ovvero EnLabs valuta la vostra startup circa 283k euro pre-money, per un valore finale, post-money, di poco più di 333k euro.

Non male direi :)

Se siete interessati potete inviare la vostra candidatura andando sul sito di EnLabs e compilando l'application form. Avete tempo fino al 20 Marzo.

Per questa prima selezione, saranno resi disponibili 6 posti per altrettante startup. Al termine del programma di incubazione, ci sarà l'Investor Day in cui ogni startup potrà presentare la propria idea ad un gruppo di investitori.

Per ulteriori info:

http://www.enlabs.com/page/cartella-stampa-programma-incubazione


In bocca al lupo ad EnLabs e a tutte le startup!

Stefano Passatordi










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giovedì 3 marzo 2011

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Un tuffo nel fantastico mondo dei visti per andare negli USA!

Tutti i founders che vogliono provare ad andare in Silicon Valley sanno benissimo che senza un visto è molto difficile partire seriamente e stabilmente da quelle parti.

Se sei italiano puoi andare negli USA, come turista e senza alcun visto, per 6 mesi complessivi in un anno.

Fate bene attenzione:

1. I 6 mesi complessivi non possono essere continuativi. Dovete andare al max 3 mesi, poi uscire dagli USA e tornarci dopo 3 mesi e restare gli ultimi 3 mesi.

2. Come turista non potreste effettuare attività legate al business. Quindi niente contratti da firmare, niente accordi e niente finanziamenti...in teoria, solo foto e divertimento.

In pratica, però, come sappiamo...tanti di noi vanno lì cercando di restare il più possibile, a volte superando anche i limiti permessi.

Altro fattore negativo da considerare è il potere che hanno gli addetti alla dogana di bloccarti quando atterri negli USA e di rimandarti indietro...senza passare dal via!
Purtroppo, queste persone alla dogana hanno il diritto di bloccarti e di non farti proseguire il viaggio, solo perchè magari la tua faccia non gli piace...il vostro destino è in mano ad uno sconosciuto e viene deciso in pochi secondi :)

Credo che il segreto sia dimostrare chiaramente che non si ha intenzione di rimanere negli USA. Quindi, per persone sposate e con famiglia in Italia è molto più facile entrare ed uscire senza essere bloccati. Invece, per un ragazzo che vorrebbe sviluppare la propria startup lì è molto più difficile. Il rischio che tu possa restare lì a tempo indeterminato è altissimo..

Per questi motivi, chi, come me, vorrebbe spostarsi in California, deve tuffarsi nel fantastico mondo dei visti!

Negli ultimi giorni ho letto un libro che spiega tutti i possibili visti, in questo post cercherò di fare un velocissimo riassunto.

La prima distinzione da fare è tra GreenCard ed il VISA.
In tanti pensano che siano la stessa cosa o molto simili, invece sono due cose totalmente diverse.

La GreenCard ha come funziona principale quella di darti il diritto/permesso di essere ufficialmente cittadino residente negli USA. Se ottieni la GreenCard puoi entrare ed uscire dagli USA senza alcun limite ed hai tutti i diritti/doveri di un cittadino nato lì. Insomma, se ottiene la GreenCard puoi dire che “vivi in America!”.

Il VISA, invece, è un permesso temporaneo che può durare pochi mesi o anche qualche anno ma che è comunque e sempre limitato nel tempo. La sua durata e i diritti che ti concede solo legati al tipo di VISA che si riesce ad ottenere.

Di seguito i VISAs più gettonati dagli startupper (cliccate sulle immagini per leggere bene la descrizione):

1. Business and Tourist Visitors: B-1 and B-2 Visas

2. Temporary Specialty Workers: H-1B Visas

3. Temporary Nonagricultural Workers: H-2B Visas

4. Temporary Trainees: H-3 Visas

5. Intracompany Transfers: L-1 Visas

6. Treaty Traders: E-1 Visas

7. Treaty Investors: E-2 Visas

8. Students: F-1 and M-1 Visas



9. Exchange Visitors: J-1 Visas

10. Temporary Workers in Selected Occupations: O, P and R Visas



Non vi resta che studiare e capire quale possa essere quello giusto per la vostra situazione!

Spero vi possa essere utile ;)


Stefano Passatordi
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domenica 20 febbraio 2011

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Gioco Digitale, exit milionaria. Intervista ad uno dei fondatori: Carlo D'Acunto

Chi non conosce o non ha mai sentito parlare di Gioco Digitale????

Oggi vi propongo l'intervista a Carlo D'Acunto, co-founder di Gioco Digitale SpA e Technologies and Operations Director presso Bwin European Markets Holding.


1) Ciao Carlo, vuoi presentarti e dirci chi sei e cosa fai?

Ho 44 anni, vivo a Roma, ho una formazione liceale classica e una laurea in Ingegneria elettronica all’università La Sapienza di Roma. La tecnologia e l’arte sono tra le mie grandi passioni. Ho lavorato in piccole software house e in grandi aziende come Telecom Italia, Tin.it, Seat Pagine Gialle, Trenitalia, Lottomatica (in ciascuna azienda per qualche anno) prima di fondare Gioco Digitale alla fine del 2006 con Carlo Gualandri e Fausto Gimondi. Si comprende come io abbia avuto un’esperienza di manager nel mondo ICT orientato ai servizi prima di decidere di compiere il passo dell’impresa.

2) Potresti raccontarci qualcosa in più circa il tuo inizio, quando, per la prima volta, ti sei affacciato al mondo startup?

La mia prima volta, anche se da manager e non da founder, è stata all’inizio del 1996 quando sono entrato a far parte del primissimo team (eravamo in 6) che in Telecom Italia aveva l’obiettivo di seguire lo start-up di un Internet Service Provider (sarebbe poi nato nel marzo 1997 Tin.it) e quando, sempre nel 1996, ho collaborato alla nascita del portale Virgilio allora joint venture tra Telecom Italia e la start-up Matrix.
Proprio in quell’occasione ho conosciuto Carlo Gualandri, co-founder di Matrix, e altre persone con le quali sarebbero nate nel futuro importanti occasioni professionali. Gli anni successivi fino al 2001 mi hanno visto coinvolto nella nascita e nello sviluppo di alcuni servizi come la comunità virtuale Atlantide, l’instant messenger C6, Virgilio Community, diventati per un po’ di tempo fenomeno sociale e precursori “locali” di servizi come Microsoft Messenger e Facebook.

3) Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato lungo il tuo percorso da founder ad imprenditore di successo?

All’inizio la difficoltà maggiore è stata quella di trovare le persone con la giusta seniority con le quali costruire l’azienda, questo è accaduto per un insieme di fattori legati alla cultura e alla realtà del lavoro in Italia dove nel senso comune (esistono per fortuna eccezioni) start-up significa rischio piu’ che opportunita’.
La soluzione è stata sopperire direttamente e personalmente alla mancanza di una struttura di middle management e assumere e far crescere giovani di talento che non sentivano il peso di lasciare altrove una posizione professionale faticosamente conquistata.

4) Quali gli errori più importanti che hai commesso e che potrebbe commettere un giovane startupper?

Gli errori da evitare sono:

- non concentrarsi sul proprio core business, sulla sostanza del valore che si vuole creare cercando di creare e operare direttamente in modo inefficiente quello che altri potrebbero fornire dall’esterno con qualita’ maggiore;

- sottostimare l’impegno e l’energia richiesti e quindi pensare che possa bastare il talento. Per la mia esperienza non e’ cosi’: il talento, la capacità di vision e’ una condizione necessaria, ma non sufficiente per il successo della start-up. L’impegno, il lavoro e all’inizio il sacrificio del proprio tempo sono fondamentali ed è una cosa importante da mettere in conto.

5) Potresti raccontarci come è nata l’idea di GD, come avete iniziato e che numeri fate?

Nel 2006 lavoravo in Lottomatica insieme con Carlo Gualandri nella progettazione e quindi nella realizzazione del servizio Gratta e Vinci online (piattaforma+prodotto). Nell’estate di quell’anno viene approvato il decreto Bersani che liberalizza il gioco in Italia e stabilisce le regole per operarlo e per richiedere la licenza con gara europea a fine ottobre 2006.
In quel decreto che tendeva a regolare anche il gioco online abbiamo riconosciuto un’opportunita’ confidando nella nostra capacità di progettare ed erogare servizi online di qualità con costi accettabili e in tempi brevi. Siamo usciti da Lottomatica per partecipare in modo indipendente alla gara e fondare quindi Gioco Digitale cui subito dopo si e’ unito Fausto Gimondi.
Ottenuta la licenza abbiamo deciso di non cercare lo scontro frontale con gli altri operatori sul terreno delle Scommesse Sportive che in quel momento appariva il servizio con i numeri di business piu’ interessanti, non potendo noi competere con i budget a disposizione dei giganti del settore del gioco, ma abbiamo invece optato per offrire tatticamente Lotterie e Scommesse e puntare alla realizzazione di nuovi servizi come il Poker e il Bingo online.
Gioco Digitale è stato cosi’ il primo operatore legale a lanciare il Poker online in Italia prima for fun e poi per soldi e il primo operatore a lanciare il Bingo online.

Nel mese di gennaio 2011 il circuito di Poker Bwin - Gioco Digitale ha gestito transazioni online B2C e B2B per oltre 45 milioni di euro.

6) Potresti raccontarci come si è evoluto l’intero iter di acquisizione di GD da parte di bwin?


Una start-up di successo diventa facilmente appetibile: per alcuni mesi siamo stati corteggiati da diversi possibili investitori finche’ all’inizio dell’estate del 2009 abbiamo iniziato a sentire l’esigenza di farci affiancare da un partner in grado di realizzare economie di scala e di supportare la crescita in altri mercati regolati. Bwin che era interessata ai nostri numeri ci e’ parso il partner industriale giusto.
Ne sono seguiti incontri bilaterali di studio, discussione e approfondimento, due diligence su GD da parte di Bwin, certificazione del bilancio e quindi acquisizione il 6 ottobre 2009.
Erano passati meno di tre anni dalla fondazione.

7) Quale la sfida più importante che hai affrontato durante la tua esperienza con GD?

Riuscire a coniugare vision e pragmatismo, abbinare qualità e time to market.

8) Se tu ne avessi il potere, cosa cambieresti in Italia per agevolare e stimolare i giovani imprenditori?

Inserirei in tutte le scuole superiori e nella maggioranza delle facolta’ universitarie un corso di economia e cultura d’impresa, supportando il valore della “creazione” di lavoro da affiancare a quello tradizionale della “ricerca” di lavoro. Aumenterei la flessibilità’ del lavoro in generale e le agevolazioni fiscali per l’imprenditoria giovanile.

9) Quali sono i consigli che ti senti di dare ai giovani che oggi decidono di fondare una startup?

Una startup ha bisogno di un’idea di business valida e sostenibile e della capacità di realizzarla, cioe’ di persone motivate e consapevoli delle proprie capacità, know-how, principi etici condivisi, finanziamenti. La passione e’ un fattore fondamentale, portare a bordo persone che hanno passione per quello che fanno e che condividono l’etica fondamentale del lavoro è un fattore importante per il successo dell’iniziativa.
E’ sicuramente istruttivo studiare le esperienze di successo e di insuccesso degli altri. Prima di partire e’ fondamentale verificare con severita’ e rigore la vision, la strategia, il business plan, il sistema dei valori etici di riferimento. Dopo essere partiti e’ fondamentale essere flessibili, saper riconoscere il cambiamento, gli errori, l’evoluzione, non dando nulla per scontato e cambiando rotta per seguire le opportunita’.

10) Se oggi tu decidessi di fondare una startup, in che ambito punteresti?Sempre giochi online?

Il mondo del gioco non ha ancora esaurito le opportunita’, ma in generale punterei sull’Innovazione, intesa come servizi innovativi e tecnologici che migliorano l’esperienza delle persone. In realta’ insieme ad altre persone e in accordo con Bwin ci stiamo gia’ pensando...


Grazie Carlo!


Un saluto a tutti,
Stefano Passatordi
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domenica 13 febbraio 2011

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Startup e Italia

Tra il 2007 ed il 2008, ho avuto enormi difficoltà ad avvicinarmi al “mondo startup”. Su internet non riuscivo a trovare nulla che riguardasse il panorama italiano, nessun riferimento, nessun contatto. ZERO.

Quando spiegavo ai miei colleghi universitari cosa avevo in mente di fare e usavo il termine “startup”, la prima domanda era: “Cosa vuol dire startup?”

Io stesso, ho iniziato a leggere Techcrunch e Mashable per caso e grazie a loro ho imparato il significato di parole come startup, round, VC, Angel, seed e tutto il resto.

Pensate che sia Techcrunch e sia Mashable sono state fondate nel 2005. Parliamo di poco più di 5 anni fa. In cinque anni tutto è cambiato e si è evoluto alla velocità della luce.
Ad oggi, se penso ai pomeriggi del 2008, passati a leggere articoli sulle startup californiane, mi sembra di tornare indietro di 10 anni. Eppure ne sono passati solo poco più di tre.

Se oggi ripenso alla situazione che c’era in Italia nel 2008 e la confronto con quella attuale, non mi sembra possibile che in poco più di 3 anni le cose siano cambiate così rapidamente!

Sono arrivato a Roma a fine agosto 2009, dopo poche settimane il primo passo importante: è nato UpStart Roma. Il gruppo composto da 7 giovani amanti del web, è nato con lo scopo di iniziare a diffondere la cultura delle startup tra i giovani. Ricordo che il primo evento siglato UpStart fu un successone, oltre 100 persone si sono riunite per la prima volta a Roma, per parlare di startup e per presentare la propria idea agli altri.

Quell’evento è stata la prova che, oltre a noi 7, tantissimi altri giovani avevano voglia di incontrarsi per scambiare le proprie esperienze, idee e consigli sul proprio progetto, sulla propria startup. Nei mesi e negli anni a seguire, fortunamente, sono nate tantissime altre iniziative.

A livello nazionale, un importantissimo impatto lo ha sicuramente avuto Working Capital, che tramite il suo tour, ha dato la possibilità agli studenti di presentare le proprie idee. In parallelo, anche tante altre iniziative a livello locale. A Roma, ad esempio, sono nati: InnovationLab, gli Indigeni Digitali, le Girl Geek Dinners, Ignite Italia. Senza contare tanti altri eventi e gruppi che hanno contribuito ad affermare due concetti importanti: startup e networking. Negli ultimi anni, abbiamo anche visto la nascita di incubatori di startup distribuiti sull’intero territorio nazionale. Per non parlare dell'attivissimo gruppo ISS di Facebook con oltre 1.300 membri.

Insomma, non solo a Roma, ma anche a Milano, Bologna, Torino, Palermo e in tutte le maggiori città italiane sono nati spontaneamente gruppi ed iniziative che hanno contribuito e contribuiscono tutt’ora a far sì che l’Italia inizi ad essere un paese più innovativo e moderno.

Nel giro di pochi anni in Italia sono state gettate delle importanti basi per un futuro sempre più appartenente ai giovani che hanno voglia di fare tanto e di fare bene. A questo punto, però, credo che occorra fare il grande passo.

Da un pò di tempo, ormai, quando partecipo agli eventi, vedo ed incontro sempre le stesse persone. Vengono dette e raccontate sempre le stesse cose.

Quando vado ad un evento di networking e torno a casa con zero nuovi biglietti da visita, nessuno stimolo esterno, nessun nuovo feedback, nessun nuovo consiglio, nessun nuovo contatto..dal mio punto di vista, questo dovrebbe essere un campanello di allarme.

Fino ad ora è stato fatto tanto e ne siamo tutti contenti. Nell’ultimo anno, però, ho visto uno stallo della situazione. Non ho visto nuove iniziative per permettere ancora a questo ambiente di crescere, ho solo visto azioni di “contenimento”.

La mia domanda è: “Adesso che abbiamo posto le basi tutti insieme, vogliamo puntare in alto e riprendere a crescere o vogliamo continuare ad essere sempre gli stessi e a dirci sempre le stesse cose ad ogni evento?”.

Purtroppo, quello che sto vedendo troppo spesso in giro per gli eventi ed i vari incontri, sono solo parole, bellissime parole, piene di speranza e voglia di fare. Nella pratica però, non vedo cambiamenti. Forse, adesso siamo nella fase più difficile. Prima abbiamo piantato il seme e sembra che ci siamo riusciti, ora però c’è bisogno di prendere davvero coscienza di cosa vogliamo fare da grandi.

Ecco, secondo il mio modestissimo parere, quello che potremmo provare a fare per creare un tessuto socio-economico basato sulle startup e su un network che da e genera valore:

- Andare nelle università e anche nei licei per spiegare ai ragazzi che è possibile crearsi un lavoro e non bisogna sempre attendere che qualcuno ti chiami per lavorare. Questo compito, secondo me, spetta agli investitori e a tutti quelli che si dichiarano innovatori.
Bisogna partire dal basso e scuotere il sistema alla base. Così, forse, agli eventi avremo facce ed idee nuove.

- Consiglio agli investitori di smetterla di porsi sempre in una posizione più importante rispetto agli imprenditori. Non restate chiusi nei vostri uffici aspettando che gli imprenditori bussino alle vostre porte, uscite anche voi a cercare giovani brillanti e con la voglia di fare. Agli eventi (purtroppo è capitato troppo spesso durante l’ultima social media week) non siate rigidi ed impettiti, aspettando che qualche imprenditore si avvicini solo perchè: “Io sono l’investitore!”. Presentatevi voi ai ragazzi e chiedete voi a loro di raccontarvi la loro idea. Durante un evento a San Francisco, mentre io sorseggiavo tranquillo il mio cocktail, un certo Jeff Clavier si è avvicinato per parlare con me.

- Ai ragazzi consiglio di evitare di perdere tempo a lamentarsi del fatto che non riescono ad ottenere un finanziamento, peggio ancora di parlar male di chi lo ha ottenuto. Consiglio di concentrarsi sul perchè non hanno ottenuto un finanziamento e sul perchè altri ci sono riusciti. Da qualche parte state sbagliando.

- Affinchè si riesca a creare un network potente, c’è bisogno che tutti capiscano che non esistono guerre o interessi personali. Non deve vincere il concetto “se io fallisco allora devono fallire anche gli altri”, un network è potente quando tutti collaborano in maniera costruttiva. Spesso si può aiutare qualcuno senza pretendere per forza qualcosa in cambio. Un giorno, sarai tu ad essere aiutato.

E' un discorso troppo lungo e complicato da affrontare in un solo post. Spero che queste righe servano almeno a smuovere un poco gli animi.

Concludo dicendo che dobbiamo essere tutti contenti per i risultati che abbiamo ottenuto in Italia nel giro di pochi anni, ma c’è ancora tanto da fare. Secondo me, adesso, ci serve un cambio di mentalità. Da parte di tutti. Sicuramente la parte più difficile da affrontare e superare.

Ciao,
Stefano Passatordi
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mercoledì 2 febbraio 2011

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Startup e outsourcing

Uno dei principali ostacoli che deve affrontare una startup è la mancanza di cassa. Non avere i fondi necessari può voler significare non partire mai, oppure partire zoppicando ed essere costretti ad arrangiarsi.

In una situazione ideale, con cassa infinita, ogni startup dovrebbe avere: sviluppatori, esperti di user interaction, grafici, ingegneri, sistemisti, maghi del marketing, addetti alle vendite e bla bla bla.

Dimenticavo un particolare, ovviamente…tutti assunti!

Cosa avviene, invece, nel caso reale???

Nei casi fortunatissimi, la startup può contare su almeno due founder con competenze complementari e non uguali. In ogni caso, difficilmente due/tre persone potranno ricoprire in maniera efficace tutte le figure professionali necessarie per fare bene!

In questi casi la soluzione più comune si chiama outsourcing. In italiano si può tradurre con esternalizzazione, ovvero affidare parte del proprio processo produttivo a entità terze, esterne alla propria azienda.

Prima di affrontare il tema dell’outsourcing per le startup, vorrei ricordare e consigliare a tutti i team di provare a “completarsi” prima di rivolgersi all’esterno. In poche parole, quando formate il team provate a tirare dentro persone con professionalità diverse, ne “bastano” quattro: 1 programmatore bravo, 1 (mezzo)programmatore capace di occuparsi anche della parte gestionale, 1 grafico ed 1 che capisca di usabilità. Se partite con un team di questo tipo, in “teoria”, dovreste fare meglio e prima di altri..ma non è detto che due sole persone non possano far meglio di quattro!

In genere, una startup è fondata da almeno due persone. Nella maggior parte dei casi, queste persone sono tecnici. Se fossero due economisti, ad esempio, allora converrebbe far entrare nel team dei tecnici. (vedi paragrafo precedente)
Storicamente, i tecnici non sono bravi grafici e neanche bravi a valutare l’usabilità di una interfaccia. Per questo motivo, nella maggior parte dei casi, una startup si rivolge al mondo dell’outsourcing soprattutto per la grafica e l’usabilità. Ad esempio, 99designs è una ottima risorsa per arruolare grafici professionisti.

Sull’usabilità, per esperienze personale, vi sconsiglio di affidarvi a persone che si presentano come grafici e poi dicono che sono bravi anche nel valutare l’esperienza utente. Essere esperti in grafica è diverso da essere esperti in usabilità.

Un altro caso in cui si ricorre spesso all’esternalizzazione è quello del SEO (Search Engine Optimization). Personalmente ho avuto una pessima esperienza con un gruppo di “esperti” di SEO che si trovano in India. Per farla breve, ho perso tempo e denaro.

Così come il SEO, anche per le attività di marketing e PR (Public Relations), in genere, ci si rivolge all’esterno. Il giorno in cui farete seriamente marketing e PR internamente, vorrà dire che non siete più una startup :)

Diciamo che in generale, almeno a livello startup, vengono esternalizzate un pò tutte le attività tranne, ovviamente, lo sviluppo della parte core.

Vediamo adesso i vantaggi e gli svantaggi dell’outsourcing.

Come vantaggi sicuramente la capacità di scalare le risorse in base alle esigenze. Si pagano le risorse solo quando c’è effettivamente bisogno. Inoltre, potendo ogni volta scegliere il professionista di turno, si ha sempre la possibilità di trovare la persona giusta in base al budget a disposizione. In un unico concetto direi che l’outsourcing, se gestito bene, abbatte i costi di produzione e rende la struttura dell’organico snella e agile. Oggi siamo in 3, domani in 6, tra una settimana torniamo in 3.

Come svantaggi, secondo me, il più dannoso è l’impossibilità di costruire un know-how solido all’interno della startup. Affidarsi tutte le volte a persone nuove ed esterne, vuol dire investire in una risorsa che produce qualcosa ma che non apporta conoscenza all’interno del team. Inoltre, tutte le volte bisogna sperare di trovare la persona giusta, il professionista valido, che non fa perdere tempo e denaro.
C’è anche un altro aspetto, spesso sottovalutato, ovvero la lingua. Con piattaforme come odesk, ad esempio, è possibile contattare persone da tutto il mondo. Oggi capita il cinese, domani il bulgaro, poi il turco e poi il russo. Purtroppo, non tutti conoscono bene l’inglese e questo problema, spesso, è una barriera.

Per concludere, credo che l’outsourcing, se usato bene, sia un ottimo sistema per portare avanti la startup sostenendo costi adeguati.

Il mio consiglio è di affidare all’outsourcing sempre parti NON importanti del proprio progetto. Mai far sviluppare pezzi di codice core, va bene per componenti periferiche. Per tutto il resto, se non si ha nessuno nel team, allora potete affidare all’outsourcing un pò tutto. Dalla grafica, al marketing, all’usabilità, al SEO.

Ciao,
Stefano
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giovedì 20 gennaio 2011

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Gianluca Dettori: l'imprenditore

In questa intervista Gianluca Dettori si racconta prima come imprenditore e poi come investitore.

Immagino che la maggior parte dei giovani startupper conoscano Gianluca principalmente come fondatore di dPixel. Non tutti (soprattutto forse i più giovani) sanno che Gianluca è stato uno dei fondatori di Vitaminic, società quotata in borsa.

Ho chiesto a Gianluca di raccontarci la sua esperienza da imprenditore, dagli inizi ad oggi.

Nota: l'intervista è avvenuta a voce, le risposte che troverete scritte sono il frutto di un riassunto il più possibile puntuale di ciò che Gianluca ha detto a voce. In ogni caso, metterò a disposizione la versione audio per ogni domanda.

1) Ciao Gianluca, anche se in Italia sei già conosciuto ed affermato, vuoi presentarti brevemente, per i pochi che ancora non ti conoscono?

Ho 43 anni ed ho iniziato la mia carriera da imprenditore 15 anni fa in una startup internet che si chiamava ItaliaOnLine, successivamente sono passato in Lycos che era un motore di ricerca. In seguito ho fondato la mia startup, Vitaminic, con cui abbiamo effettuato diverse acquisizioni e la quotazione in borsa. Terminata l’esperienza con Vitaminic ho fondato dPixel, che è una società di venture capital che si occupa di investimenti seed nel campo di internet.




2) Potresti raccontarci qualcosa in più circa il tuo inizio, quando, per la prima volta, ti sei affacciato al mondo startup come imprenditore? Quali risultati hai raggiunto e in quanto tempo?

La prima esperienza significativa è stata in ItaliaOnLine. E’ stata fondata da un gruppo di 4 giornalisti del Sole24Ore e quando sono entrato io erano 10/15 dipendenti. La startup è stata finanziata sia dal Sole24Ore che da Olivetti. Il mio ruolo inziale è stato quello di assistente marketing. Il nostro obiettivo era quello di offrire un servizio di connettività consumer in Italia. In due anni siamo passati da un servizio che non esisteva a centinaia di migliaia di utenti. Durante questo percorso sono diventato prima direttore marketing e dopo direttore vendite. Dopo poco tempo dalla mia uscita dalla società, ItaliaOnLine è diventata Libero.



3) Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato lungo il tuo percorso da giovane founder ad imprenditore di successo?

Sicuramente dover affrontare molto rapidamente tante situazioni diverse che prima non avevo mai vissuto. Abbiamo fondato la società in 3 e nel giro di quasi 2 anni avevamo già raccolto 2 round di venture capital, assunto 100 persone, aperto in diverse nazioni, quotato la società in borsa e fatto la prima acquisizione. Quindi la difficoltà maggiore è stata la velocità. Cose che in genere capitano in 10 anni di lavoro, io le ho affrontate compresse in 3/4 anni.




4) Quali gli errori più importanti che hai commesso e che potrebbe commettere un giovane startupper?

Errori legati all’inesperienza, che ovviamente sono fisiologici. Certamente il maggiore errore è stato quello di non capire i tempi corretti di alcuni fenomeni. Eravamo un pò avanti rispetto al mercato. Anche quando avevamo 10Milioni di ricavi, in realtà, quella era solo una parte rispetto al vero mercato che noi abbiamo anticipato.




5) Se fosse possibile viaggiare nel tempo, credi che otterresti gli stessi risultati rifacendo adesso lo stesso percorso che hai fatto in passato?

Se penso a Vitaminic, credo che adesso sia più facile perchè adesso quella è una industria che ha una storia. 10 anni fa era tutto da inventare, adesso abbiamo sviluppato una consocenza tale che tutto diventa più semplice. Oggi c’è un mercato più solido, con fatturati altissimi e competitivo almeno quanto 10 anni fa. Diciamo che adesso è meno facile poter portare avanti progetti ambiziosi e trovare finanziamenti. E’ pur vero che oggi puoi fondare una azienda internet con meno risorse di 10 anni fa. In conclusione, credo che oggi sia più facile.




6) Sei un sostenitore della Banca Nazionale dell’Innovazione, ci spieghi perchè e come potrebbe migliorare la situazione attuale?

Attualmente, in Italia, il più importante venture capitalist è lo Stato. Siamo noi contribuenti. Ad oggi, in questo settore vengono assegnate cifre dell’ordine di 10Miliardi di euro, di cui una parte provengono dalla Comunità Europea. In quest’ultimo caso, se i fondi non vengono usati non vengono neanche erogati e, quindi, risultano persi. Per me, la Banca Nazione dell’Innovazione dovrebbe essere una community in grado di gestire in maniera privata almeno una parte dei fondi a disposizione. Credo che basti solo una parte di quei fondi, affidata a persone con esperienza e che investono in realtà ad alto impatto tecnologico, per poter migliorare la situazione attuale del Paese nel giro di qualche anno. Essendo fondi pubblici, la domanda è se i fondi a disposizione vengono spesi in maniera efficiente oppure se è possibile fare di meglio. La BNI vuole essere uno stimolo per provare a creare una nuova governance per questi fondi. Il mio suggerimento è di affiancare alle istituzioni delle persone esperte nel settore del venure capital per decidere come destinare ed investire le risorse a disposizione.




7) Secondo te, quale dovrebbe essere il ruolo delle università nell’ecosistema startup di un paese?

Secondo me, prima di tutto l’Università deve far bene l’Università. Questo è il suo ruolo principale. Un ruolo che, oggi come oggi, non riguarda solo la didattica, ma anche la ricerca e la capacità di creare valore anche all’esterno. Questo avviene tipicamente tramite la creazione di imprese (spinn-off) ed il trasferimento delle tecnologie.




8) Quali sono i consigli che ti senti di dare ai giovani che oggi decidono di fondare una startup?

Prima di tutto, consiglio di credere in se stessi. Bisogna però anche sapersi sempre mettere in gioco e in dubbio, almeno finchè non si arriva ad una validazione delle proprie idee e competenze. E’ importante avere delle idee ma è anche importante saper interagire con persone con esperienza maggiore. Quindi consiglio di raggiungere quel gisuto livello di consapevolezza del proprio progetto che ti permette di essere convincente e di trovare i soldi per inziare.




9) Quale è la tua posizione rispetto alla questione Silicon Valley, credi che oggi sia un passo dovuto quello di provare ad aprire la propria startup lì?

No altrimenti non avrei fondato dPixel! Noi siamo in Italia perchè siamo sicuri che si possa aver successo anche in Italia e restando in Italia. La Silicon Valley è il posto più bello della terra per provarci, però è la Silicon Valley. Il punto è capire il mercato. Se è un mercato internazionale allora credo che si possa aver successo anche dall’Italia.




10) A Londra è nato il London’s Silicon Roundabout , per tentare di contrastare la Silicon Valley. Ad oggi, cosa manca in Italia per poter creare una zona tecnologia forte, magari a Roma o Milano?

In Italia iniziano ad esserci un alto numero di startup, per cui potrebbe iniziare ad aver senso di aggregarsi fisicamente. A Roma sicuramente esiste un ecosistema startup molto significativo, sicuramente anche a Milano. Credo che dipenda tutto dal valore delle varie iniziative. Se sono solo questioni immobiliari allora ce ne sono già molti e non credo che questo possa aiutare ancora lo sviluppo delle startup italiane. Credo sarebbe più interessante se si creassero delle sinergie tra le varie startup e ci fosse un lavoro più coordinato e collaborativo.



11) Quali sono i tuoi progetti futuri?

Quest’anno saremo impegnati con i nuovi investimenti, poi con Working Capital che quest’anno sarà ancora più impegnativo. Lo scorso anno avevamo avviato il progetto di Startup Master che poi ha subito un rallentamento, ma contiamo di riprenderlo quanto prima.




Grazie Gianluca!


Ciao,
Stefano Passatordi



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